Alcuni giorni fa mi è capitato di discutere con un attivista politico del centrodestra locale. Chiesi quale fosse la sua visione strategica per il futuro del territorio. Mi rispose elencando una mirabolante lista di infrastrutture, soprattutto stradali. Rimasi perplesso e ripetei la domanda. «Te l’ho appena detto», rispose seccato.
Riflettei su due aspetti. Innanzitutto c’era una chiara confusione metodologica e concettuale sulla differenza tra strategia, obiettivi ed azioni finalizzate ad attuarli. Confusione che purtroppo credo sia estremamente diffusa nell’attuale classe politica locale, regionale e nazionale. L’importante è “fare cose”, mostrare che si è uomini del “fare”. Il contesto in cui si inserisce questo “fare” è assolutamente assente, così come la direzione verso cui si vuole guidare una comunità.
L’altro aspetto entra nel merito della questione, ossia le infrastrutture, soprattutto stradali. Terze corsie e bretelle serpeggiano già nell’attuale campagna elettorale locale e saranno bandierine da sventolare sempre più. Già si intravedono passerelle di politici regionali e locali pronti ad evocare piogge di milioni di euro e di bitume. Quali sono i reali benefici economici e sociali di tutto questo, in un territorio già estremamente “infrastrutturato”? Raggiungere Grottammare risparmiando 10 minuti è forse strategico per le imprese locali? O crediamo ancora alla favoletta (smentita da decenni) che nuove strade riducono il traffico e il relativo inquinamento? Evitare quei 3 o 4 incolonnamenti nel periodo estivo (al netto dei continui e disorganizzati cantieri autostradali) permetterà l’arrivo di frotte di nuovi turisti e il passaggio di nuove merci? Guardiamoci negli occhi, la risposta è NO.
L’esempio lampante è dato dall’entroterra marchigiano; mi riferisco alla zona del fabrianese, area interessata decenni or sono dal dirompente fenomeno dell’industria montana. Fenomeno originato in un periodo di scarsa infrastrutturazione del territorio ed oggi completamente tramontato, nonostante le faraoniche opere della cosiddetta “quadrilatero”. Si veda la progressiva desertificazione industriale (oggi si discute ad esempio dell’azienda Elica) in parallelo all’inaugurazione di nuovi tratti della quadrilatero.
Le evidenze ci portano a considerare che, nel XXI secolo, in un paese sviluppato, serva ben altro. Infrastrutture si, ma che partano dalla nostra testa: innovazione, ricerca, formazione, nuove tecnologie applicate alla quotidianità. Questa credo sia la chiave per una crescita del nostro territorio, per creare nuova occupazione, per migliorare la qualità della vita e dell’ambiente.
Senza questa “visione”, le nuove strade serviranno per…emigrare più velocemente!
Stefano Chelli