Grazie Fedez, bombardaci il Senato – di Valeria Cardarelli

La ricerca storica ci insegna come, nell’osservare una data situazione, risultino particolarmente dirimenti le valutazioni relative alle sue evoluzioni nel corso del tempo: come sono cambiate le cose negli anni? Quali passi avanti si sono fatti? Quali i momenti di stagnazione?

A tal proposito vorrei portare alla vostra attenzione due date che segnano, a loro modo, dei momenti topici di quella che è la realtà della lotta alle discriminazioni in Italia.

La prima: Il 2 maggio 2018 è stata presentata la proposta di Legge Zan contro l’omotransfobia.
La seconda: 30 marzo 2021, il Vescovo emerito di Ascoli Piceno Giovanni D’Ercole ha chiesto ai fedeli – per tramite di un post pubblicato sulla sua seguitissima pagina Facebook – di pregare “perché al nostro Paese sia risparmiata questa legge” che è a tutt’oggi bloccata in Senato senza notizie relative ad un’imminente calendarizzazione della discussione necessaria alla sua approvazione.

Ma concentriamoci per qualche minuto sull’autore del post.
Il Vescovo Emerito Govanni D’Ercole, è Emerito in quanto il 29 ottobre dello scorso anno ha comunicato alla sua diocesi di aver rinunciato alla carica ecclesiastica con l’obiettivo di concretizzare anzi tempo quella che da sempre ha considerato come il compimento ideale della sua missione apostolica, ovvero, recarsi in una missione in Marocco per portare avanti il suo apostolato a beneficio dei “più poveri tra i poveri”.

A sentirla così sembrerebbe di trovarsi di fronte a “Le vite dei Santi”, uno di quei VHS che chiunque abbia frequentato il catechismo negli anni ’90 conosce. E invece no. Al massimo possiamo paragonare le vicende del Nostro ad un episodio crossover di Boris e Padre Maronno.

Infatti, sebbene siamo certi di quanto il richiamo del fiume Ngube sia stato preponderante nella scelta compiuta dall’Emerito a cui appiopparono la santità, si delineano nel suo passato episodi che contribuiscono a gettare ombra sulla natura immacolata e disinteressata della sua scelta. D’Ercole vanta rapporti con personaggi come Alemanno e Raffaele Marra, con altri parroci dalla reputazione non propriamente intonsa (Alberto Bastoni, allontanato dalla chiesa per possesso di cocaina e materiale pedopornografico) e con santoni che trasudano olio extravergine d’oliva dalle mani. Durante il primo lockdown, quando a Bergamo le vittime del covid19 venivano portate fuori dalla città a bordo di mezzi militari e il panico per la nuova ed incontrollata pandemia dominava il paese, D’Ercole aveva opposto ferme critiche alle misure preventive che disponevano la chiusura delle chiese definendole “dittatoriali”. Un paragone fuori luogo se si pensa come una certa destra, che la fa da padrona nella nostra ridente provincia, alla nostalgia per la dittatura (quella vera) ha dedicato cene con menù a tema ad Acquasanta.

Tornato dunque dal soggiorno marocchino, durante il quale l’Emerito ha pregato per la salvezza delle nostre anime peccatrici – grazie, come se avessi accettato – D’Ercole ha ora deciso di dirottare le sue energie su una nuova crociata quella, appunto, contro l’improvvido e “liberticida” DDL Zan.

“Viandanti, siate lieti! Lo mondo non sarà per sempre intollerante. Di quassù veggo lontano et vi dico: tempo verrà che non vi saranno né schiavi né padroni, né guerre né ingiustizie e malattie, ma ovunque pace, lavoro et essere tutti liberi et uguali” sono parole messe in bocca da Monicelli all’impiccato nell’unica crociata che a noi abbia mai fatto un po’ di simpatia, quella di Brancaleone. Un vaticinio che, dal 1970 ad oggi, rimane purtroppo ancora tristemente irrealizzato. Dopo tutto non è un caso che a pronunciarlo fosse un pendaglio da forca.

Ma a mettere i bastoni tra le ruote alla Zan non è bastata certo l’azione isolata di un modesto, per quanto pervicace, Vescovo di provincia! Diamo a D’Ercole quel ch’è di D’Ercole e a Pillon – alla Lega, a Giorgia Meloni e agli omotrasfobicə tuttə – quello che gli spetta di diritto. Non è un caso che il Senatore si sia affrettato a rilanciare sui suoi social il post dell’Emerito supportandone e plaudendone ogni parola. Lo stesso Senatore che qualche giorno fa si vantava pubblicamente di quanto a partiti come Lega e FDI vada il merito di aver osteggiato l’ascesa al potere della “lobby gender”.

Punto principale attorno al quale si snodano le critiche mosse alla Legge Zan, dalle destre così come dagli ambienti ecclesiastici, è la presunta limitazione della libertà personale che ogni singolə cittadinə si troverebbe a dover affrontare. Ma, e qui cito testualmente dal testo della legge:

Art. 4. (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte)1. Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.

In soldoni questo significa che ognunə è legittimatə a mantenere le sue personali opinioni a condizione che le suddette non comportino la messa in atto di pratiche e comportamenti concretamente violenti o discriminatori. Hate speech e crimini d’odio ci piace pensare non fossero opinioni accettabili o legittime nemmeno in mancanza di una legge che ne penalizzi la pratica! Ma siamo forse troppo ottimistə.

In questo tentativo di debunking della strategia del terrore messa in campo da pillonianə e omotransfobicə con l’obiettivo di imbavagliare una legge che determinerebbe un ampliamento delle tutele di alcunə senza che questo determini nessuna (non potremo mai sottolinearlo abbastanza) perdita di diritti per altrə, è impossibile non citare l’ormai famigerato “complotto gender”! Pare che educare al rispetto dell’altrə e all’equità sia una minaccia paragonabile all’atomica e, in questa particolare versione della guerra fredda, le armi con cui l’opinione pubblica filo Zan sta rispondendo sono quelle dei grandi numeri che celebrità ed influencer di varia sorta sono in grado di muovere grazie alle reti social.

A tirare la prima pietra ci ha pensato Fedez. Tutto è partito da una serie di storie Instagram, in cui il rapper ha chiamato direttamente in causa il Senatore Pillon rassicurandolo in merito alla sua totale serenità di fronte a quello che considera il sacrosanto diritto all’autodeterminazione del figlio Leone. Hanno fatto eco a Fedez le voci di moltə altrə tra cantantə e membrə dello spettacolo, come ad esempio: Elodie, Levante, Paola Turci, Costantino della Gherardesca, Mahmood, Alessandro Gassmann, Francesca Michielin, Chiara Ferragni, Lo Stato Sociale, Nicola Piovani, Piero Pelù. C’è poi Diego Passioni, storico presentatore di Radio DJ, che ha parlato della legge Zan in una live alla quale hanno partecipato Fabio Canino e lo stesso Alessandro Zan, che ritroviamo in un’ulteriore live Instagram – stavolta di nuovo con Fedez – visualizzata in poche ore da oltre 700.000 utenti.

“Il rispetto verso le differenze è un valore, non un problema, quando rispetteremo le persone a prescindere dalle condizioni personali sarà una società più giusta. Educare che blu è maschio e rosa è femmina, che l’uomo non può piangere e la donna sì, sono concetti anticamera della violenza da adulti. È un paese civile quello in cui due persone non possano girare mano nella mano perché rischiano un’aggressione?”

ha domandato il deputato Zan durante la live, ricordando l’aggressione subita pochi giorni fa dall’attivista Jean Pierre Moreno a Valle Aurelia.
Assieme al mondo dello spettacolo, sono tantissimə i collettivi, i gruppi, artistə, attivistə e divulgatorə, che nel corso delle ultime ore stanno dando il via a campagne di sensibilizzazione e informazione, che chiedono a gran voce la calendarizzazione urgente della Legge Zan, contro la retorica imperante del benaltrismo: perché se la pandemia è l’emergenza di oggi l’omotransfobia è l’emergenza di sempre e la prima non ha fatto che aggravare le manifestazioni e gli effetti della seconda.

Vi segnaliamo quindi la petizione del Comitato Da’ voce al rispetto che è possibile firmare al link seguente:
https://action.allout.org/it/m/145febbd/?_ga=2.66776489.68032851.1617426395-1092063609.1616432611
ma anche le azioni di mail-bombing al Senato lanciate dal Toilet Club di Milano (seguite il link per le istruzioni su come partecipare: https://www.toiboy.it/toiletclub/sileggezan/ ).
Insomma, per parafrasare gli Offlaga: “grazie Fedez, bombardaci il Senato”

Valeria Cardarelli

Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, fuori dalla retorica – Dott. Fabio Lucidi

È nuovamente il 2 aprile e, come ogni anno, provo sentimenti contrastanti che tentano di dialogare tra loro. 
Da un lato, il piacere di leggere articoli, ascoltare servizi e testimonianze che raccontano di un mondo, quello del disturbo dello spettro autistico (ASD), di cui nel nostro paese si parla ancora troppo poco e talvolta in maniera imprecisa. 
Dall’altro, uno scoraggiamento viscerale dovuto al fatto che il 2 aprile duri soltanto 24 ore e che dal 3 aprile in poi, per altri 364 giorni, la lampadina blu che tanto vediamo pubblicizzata, resti spenta, anzi fulminata!
Una cara amica e collega qualche giorno fa mi ha telefonato perché alle prese, per la prima volta, con un bambino delle scuole elementari con diagnosi di spettro autistico. Naturalmente provata dall’esperienza mi ha rivolto una domanda lecita e ben precisa: «Come si fa ad entrare in relazione con loro? Ho un ragazzo che sembra non ascoltarmi proprio, eppure lui svolge anche una terapia, ma non mi pare che abbia imparato molto».
Ci sono due aspetti, relativamente a questa richiesta, che possono aiutarci a capire alcuni nostri pregiudizi sull’autismo e allo stesso tempo guidarci nella relazione.
Il primo è che ci sia un modo universale per rapportarsi alle persone con autismo. Non è così, la parola “spettro” indica proprio un ventaglio di condizioni eterogenee, una sorta di continuum rispetto al quale ogni persona con ASD si posiziona, e che merita un piano educativo e terapeutico individualizzato, sulla base del livello cognitivo, linguistico, della severità sintomatologica, della presenza di comorbidità associate e della fase di sviluppo che la persona sta attraversando.
Il secondo riguarda l’idea che è lui che non ascolta, non impara, che non c’è nella relazione, e che dalla terapia lui non abbia imparato molto.
Se negli anni abbiamo iniziato pian piano a familiarizzare con il concetto di spettro, cercare di abbattere questo secondo pregiudizio è più complesso. Per farlo occorre metterci in discussione, rivedere il nostro modo di stare in relazione, il nostro mondo interno e farci i conti. E a volte il conto è particolarmente salato, per cui meglio far pagare qualcun altro.
Il problema è che a forza di far pagare l’altro, prima o poi quest’altro, a cena con noi, non ci verrà più.
Lo so, pensare che sia unicamente la persona con ASD a dover cambiare ci assolve dalle nostre responsabilità. D’altronde non siamo noi che abbiamo la diagnosi, non siamo noi a non saper comunicare, non siamo noi a non apprendere dal rapporto con gli altri. Ma ne siamo davvero così sicuri?
Mi addentro ora in un terreno scivoloso: quante volte abbiamo odiato dei cambiamenti improvvisi? Quante volte abbiamo avuto il bisogno di stare da soli, di isolarci da tutto e tutti? Quante volte abbiamo provato a comunicare qualcosa, ma non ci hanno davvero compreso? Quante volte abbiamo avuto bisogno di riordinare l’ambiente che ci circonda, prima di metterci a lavorare? Quante volte siamo stati in difficoltà ad una festa, ad un pranzo o una cena con sconosciuti? Quante volte, con una persona che ci piace non sappiamo come comportarci?
Beh, tutte queste volte abbiamo assaporato l’autismo. In forma diluita sicuramente, ma la qualità del sentimento è la stessa. Ecco allora perché, forse, sintonizzarci con queste persone ci viene particolarmente difficile, perché difficile è contattare le nostre parti autistiche senza scappare.
Per rispondere dunque alla domanda della collega, entrare in relazione con le persone con ASD è possibile, sempre. Il punto è trovare cosa e come possiamo cambiare noi, cosiddetti “neurotipici”, per far si che il tempo trascorso insieme sia uno scambio buono per entrambi.
Questo 2 aprile, per favore, non illuminiamo le statue di blu, non serve a niente. Facciamo informazione, partecipiamo a corsi di formazione, andiamo in terapia.
Nel frattempo la regione Marche ha recentemente pubblicato il bando per l’erogazione di contributi in favore di famiglie con persone con disturbo dello spettro autistico.
Possono farne richiesta le famiglie che hanno sostenuto spese per gli operatori specializzati che effettuano interventi educativi e riabilitativi basati su metodi riconosciuti dall’ISS (Istituto Superiore della Sanità).
La documentazione va presentata entro il 10 maggio 2021 presso il proprio comune di residenza.
In allegato il link con tutte le informazioni necessarie.
http://www.grusol.it/informazioni/21-03-21.PDF

Dott. Fabio Lucidi – Psicologo
fabio.lucidi@hotmail.com

PEPA NERO – di Miranda

Quando ormai l’avventura dell’amministrazione di Pasqualino Piunti arriva alle sue battute finali, la Lega fa il suo trionfale ingresso in giusta, accaparrandosi la delega al Bilancio, lasciata scoperta dal dimesso (per motivi mai dichiarati) Andrea Traini.Si tratta di Gian Luigi Pepa, avvocato, storico e «figlio della nazione», come lui stesso si definisce nel suo curriculum. Già membro del Cda dell’Azienda Multiservizi, prima di diventare assessore, Pepa aveva fatto parlare di sé tre anni fa, il 29 luglio del 2018.Vi dice qualcosa questa data? È il giorno del compleanno di Benito Mussolini. In un gruppo di Facebook il cui nome è tutto un programma («Movimento Nazionale per la Sovranità», leader Gianni Alemanno), l’uomo che Piunti ha scelto per gestire il bilancio in questi ultimi mesi scrive: «Oggi nasceva Benito Amilcare Andrea Mussolini (Dovia di Predappio, 29 luglio 1883 – Giulino di Mezzagra, 28 aprile 1945) è stato politico, dittatore e giornalista italiano. Buon compleanno alla memoria».

Un lato positivo c’è, comunque l’ha definito dittatore. Copiamo dalla Treccani: «Chi governa o esercita comunque la propria autorità in modo dispotico e intransigente, senza ammettere critiche, opposizioni, discussioni o ingerenze di alcun genere». Parole che si addicono a Mussolini, ovvero a colui che per vent’anni ha governato l’Italia con la violenza e la sopraffazione, fino al disastro della Seconda Guerra Mondiale al fianco della Germania di Adolf Hitler.Comunque, passando dalla tragedia di ieri alla farsa di oggi, guardando la composizione del consiglio comunale non possiamo non notare un dettaglio: delle forze politiche che avevano sostenuto Piunti nel 2016 ormai non v’è quasi più traccia. SiAmo San Benedetto – che aveva eletto quattro consiglieri – ormai conta su una sola consigliera comunale, mentre la Lega – che non aveva eletto nessuno e che aveva addirittura presentato un suo candidato sindaco, Massimiliano Castagna – ha quattro consiglieri comunali (di cui uno, Pasqualino Marzonetti, eletto col Pd e un altro, Marco Curzi, è stato assessore nell’ultima giunta Gaspari e poi era entrato in consiglio comunale con la lista di sinistra Rinnovamento e Progresso di Paolo Perazzoli). San Benedetto Protagonista, la lista del sindaco Piunti in persona, da cinque eletti è passata a due rappresentanti, gli altri sono confluiti in Forza Italia per un gioco di forze interno alla destra. Una confusione indegna e ridicola, segno di un progetto politico che non è mai esistito, non è sbocciato in quasi cinque anni di amministrazione e non nascerà di certo durante la campagna elettorale ormai alle porte.Meno male che manca poco alla fine di questo circo. E tanti cari saluti (ma non romani, anche se li apprezzerebbe) al nuovo caro assessore al Bilancio.

Miranda

Nascite al minimo, decessi al massimo. Le Marche stanno scomparendo

Minimo storico nelle nascite e record di decessi nel 2020 con la pandemia che ha fortemente peggiorato una dinamica demografica già molto preoccupante tanto che al 31 dicembre la popolazione residente nelle Marche è inferiore di quasi 17 mila abitanti rispetto all’inizio dell’anno: come se fosse sparita una città grande come S. Elpidio a Mare o Grottammare. E’ quanto emerge dai dati dell’ISTAT elaborati dall’IRES CGIL Marche.
Ancora più pesante il bilancio demografico rispetto al 2010 con 40 mila abitanti in meno, mentre in 10 anni hanno lasciato la regione per l’estero 43 mila persone, equivalenti ai cittadini di una città come Senigallia o Civitanova Marche. Un numero impressionante soprattutto se si considera che tra di loro ci sono tantissimi giovani in cerca di migliori prospettive di lavoro e di vita.


Preoccupa soprattutto la denatalità che peggiora a ritmi insostenibili: nel 2020 nelle Marche sono nati solo 9.429 bambini: record minimo storico. Rispetto all’anno precedente sono nati 241 bambini in meno (-2,5%) mentre sono addirittura 4.656 i nati in meno rispetto a 10 anni fa (-33,1%). Il calo delle nascite è un fenomeno nazionale che peraltro ha assunto un carattere strutturale, ma il trend registrato nelle Marche è più grave e preoccupante.
Prosegue anche la tendenza alla diminuzione della fecondità: nel 2019 il numero medio di figli per donna nelle Marche è sceso a 1,19 (1,27 la media nazionale). Valori particolarmente preoccupanti se si considera che una popolazione, senza movimenti migratori, per rimanere costante nel tempo dovrebbe avere mediamente 2,2 figli per coppia.
Contestualmente, nel 2020, i decessi nelle Marche sono stati 20.123, ovvero 2.681 in più rispetto al 2019 (pari a +15,4%, di poco inferiore all’incremento medio nazionale di +17,6%) che evidenziano gli effetti drammatici prodotti dall’epidemia Covid-19, pagati soprattutto dalle persone più anziane e fragili. Inoltre, per la prima volta i decessi sono più del doppio delle nascite.


Secondo Daniela Barbaresi, Segretaria Generale della CGIL Marche, «è urgente  affrontare il tema della denatalità con misure strutturali a sostegno della maternità e paternità, a partire da un’adeguata rete di servizi per l’infanzia, che nelle Marche, oltre ad essere complessivamente troppo onerosa per le famiglie, è assolutamente insufficiente, visto che solo a un bambino su quattro viene garantito un posto all’asilo nido».


«Occorre poi garantire adeguate prospettive di lavoro e reddito; lavoro stabile con la giusta retribuzione per consentire soprattutto ai più giovani di formare una famiglia e decidere di avere dei figli. Va ricordato che da luglio sarà operativo l’Assegno unico e universale per i figli, introdotto con la Legge di Bilancio 2021, per riordinare le misure a sostegno della genitorialità e che sostituirà assegno al nucleo familiare, detrazioni per figli a carico, assegno natalità, bonus bebè, bonus mamma e altre misure. Per conoscerne nel dettaglio le modalità di erogazione bisognerà aspettare i prossimi decreti attuativi».
«Sono altrettanto necessarie e urgenti misure a sostegno di una popolazione sempre più anziana e fragile, a partire da interventi per la non autosufficienza. Urgente poi completare rapidamente le vaccinazioni delle persone più anziane e fragili».

Ragazz*, tornate. Abbiamo bisogno di voi! – di Valerio Carincola

Due anni fa quando ero uno studente universitario a Milano un pensiero mi attanagliava. Pensavo: è giusto che uno studente faccia le sue esperienze in un’altra città per arricchire desiderosamente il suo bagaglio personale ed esperienziale ma quando arriverà il momento di decidere di «tornare a casa» si chiederà inesorabilmente, «mi conviene?».
Nella maggior parte delle volte la risposta è no. Anch’io ero della stessa posizione, tuttavia decisi di tornare a San benedetto del Tronto consapevole di voler partecipare politicamente alla vita cittadina e conscio della disastrosa situazione socioculturale causata da un’amministrazione priva di animo e di idee. Al sol pensiero che la mia città si stesse spogliando della meglio gioventù non faceva altro che alimentare la voglia di chiudere con vemenza la valigia e tornare a San Benedetto.
Ovviamente vi risparmierò la filippica riguardo cosa abbia sbagliato la sinistra sambenedettese e vorrei focalizzarmi su cosa potremmo fare adesso. Per questo motivo ho trovato, fortunatamente, Miranda: un faro immerso in un porto delle nebbie, un laboratorio politico in grado di ascoltare, condividere idee e disagi di giovani e non solo, di una città completamente alla deriva. Una città la cui unica offerta è quella di proporti dei «freddi aperitivi» e alcol a buon prezzo annegando un’intera generazione di ragazzi a una intollerabile mancanza di curiosità verso il prossimo. Vorrei vedere la città ridente di una volta, una città che permetta di richiamare quei giovani san benedettesi «in trasferta».
Sì perché abbiamo bisogno di loro. Però, per far sì che avvenga questo ritorno, abbiamo bisogno di una città urbanisticamente, culturalmente e lavorativamente attrattiva: solo così potremmo lavorare per il bene comune e di ricostruire giorno dopo giorno il rilancio della città e del territorio.
Indubbiamente, a causa del Covid, stiamo attraversando uno dei periodi più difficili dal secondo dopo guerra in poi, nonostante ciò con Miranda, adattandoci ai mezzi informatici che ci consentono in qualche modo di vederci, non ci siamo mai fermati e stiamo continuando a studiare idee per il futuro di San Benedetto. Vorrei che questo messaggio sia da monito per quei giovani lavoratori, universitari indecisi di tornare e vi dico tornate: we want you.
Come nella Ginestra di Leopardi, di fronte alla perdita di ogni speranza e all’impossibilità di una prospettiva per il futuro, il fiore sparge il suo profumo.
È solo partecipando tutti insieme che possiamo cambiare questa città.

Valerio Carincola

Tirate una monetina – di Miranda

Alcuni semplici dati di fatto.
Uno: se il centrosinistra non si presenterà unito alle prossime comunali, la vittoria della destra è scontata. Quasi non varrebbe nemmeno la pena partecipare, impegnarsi per la campagna elettorale, perdere giornate e giornate all’inseguimento di un progetto che, di fatto, nasce già morto. Alzi la mano chi ha voglia di rovinarsi l’estate – perché la campagna elettorale si farà in quei mesi – per andare a perdere.
Due: credere che il centrodestra arriverà spaccato è una pia illusione. Sappiamo bene come sono fatti, quelli. Litigano a morte fino al momento in cui da Roma (o da Marte o da Salò) arriva l’ordine e tutti tornano in riga. È già successo nel 2016: fino a quando non è stato ufficiale, Piunti sembrava non dovesse essere candidato. Poi abbiamo visto com’è andata a finire.
Tre: a proposito del 2016, ci ricordiamo cosa è successo dalle parti del centrosinistra? La guerra fratricida ha prodotto solo macerie. Mettiamo da parte colpe, colpi di testa, antipatie personali, moti di rancore. Non portano a niente di buono. Lo sapete. Lo sappiamo.
Quattro: regalare per la seconda volta consecutiva la città alla destra sarebbe un crimine (politico) imperdonabile. Avete presente quando si dice «San Benedetto città accogliente, solidale, inclusiva, aperta»? Ecco, dopo dieci anni di cura da parte di Pasqualino & friends diventerebbe un lontano ricordo. Vogliamo abituarci a «San Benedetto città in crisi, depressa, senza idee»? Non sembra una buona idea.
Quinto: credere che si può andare tutti divisi con la convinzione che «tanto secondi ci arriviamo noi» e poi gli altri si aggregheranno al ballottaggio è una follia, roba da Shutter Island, completamente fuori dal mondo. Gli inglesi parlano di «whishful thinking», pensiero speranzoso. In Italia, la variante è «io speriamo che me la cavo». Davvero una cosa del genere si può definire strategia?
Qual è il problema di questo centrosinistra? Quali sono i motivi per cui non si riesce a trovare un accordo e dunque si dà per scontato che si andrà alle elezioni divisi in due, in tre o forse in quattro? A guardare bene non sembrerebbero esserci idee davvero in contrasto. Non è un problema di linea politica, come si diceva una volta. Non ci sono idee così tanto diverse sulla città che dovrà essere in futuro. La vera questione è legata al candidato sindaco. Tanti lo vogliono fare, ciascuno che la propria storia, le proprie motivazioni, i propri sostenitori. E ciascuno ritiene di essere il migliore, a scapito di tutti gli altri. Chi ha ragione? Chi ha torto? Risposta: nel primo caso, nessuno. Nel secondo, pure.
Facciamola semplice: tiriamo una monetina. Se esce testa lo fa uno, se esce croce lo fa un altro. Diciamo sul serio: lasciamo fare al caso.
Molto meglio quello che la condanna a una sconfitta certa.

Miranda

Andrà tutto bene! Ricominciamo! Oppure rivoluzioniamo? – di Gianluca Scattu

Che cos’è San Benedetto del Tronto? Be’, è un posto meraviglioso: il sole è caldo, le colline che ci circondano sono verdi e morbide, il mare ci attrae tutti come una calamita in tutte le stagioni, il porto – ahimè sgarrupato – ci dà da mangiare del pesce delizioso, la gente è tranquilla e si vive un gran bene. 
Purtroppo, però, molte cose non vanno. La pesca è stabilmente in crisi, la lista delle “ex aree” (ex-galoppatoio, ex-camping, “ex”-Parco Laureati, ex-Ballarin, ex-Sgattoni, etc.) è sempre più lunga e dolorosa, la vita culturale è ormai quasi inesistente, il tasso di disoccupazione è pericolosamente alto, la deindustrializzazione ha colpito forte e molte zone della città si trovano in uno stato di degrado imbarazzante. 
Che fare, quindi? Come possiamo tentare di migliorare le cose che non vanno? Facendo una rivoluzione culturale.
Cambiamo le nostre teste, educhiamo ed istruiamo meglio i nostri figli e fratelli, miglioriamo la raccolta differenziata, riqualifichiamo la città, emancipiamoci. Ecco alcune idee sulle quali costruire una discussione larga.
In primo luogo, creiamo e potenziamo le attività doposcuola comunali. Oltre al magnifico sforzo dell’Istituto Musicale Comunale “Antonio Vivaldi”, che va rafforzato in modo da dare accesso a più studenti, due altre operazioni possono essere proposte alla cittadinanza: una scuola comunale di lingue straniere e una di educazione civica. La prima darebbe ai nostri figli la possibilità di formarsi per il futuro e diventare cittadini del mondo; la seconda insegnerebbe ai nostri figli a vivere meglio in armonia con il prossimo e la natura: femminismo, integrazione razziale, ambientalismo, educazione stradale, lotta al bullismo, e molto altro. La scuola potrebbe avere un’impronta pratica: i ragazzi, oltre ad avvicinarsi ai temi della cittadinanza, avrebbero la possibilità di “sporcarsi le mani” essendo protagonisti in prima persona (solo alcune idee: orti e fattorie didattiche, visite ad impianti di generazione di energia rinnovabile e riciclaggio rifiuti, giornate di pulizia degli ambienti naturali in cooperazione con FAI e Legambiente, e molto altro). Le strutture per i corsi spesso esistono già – le scuole sono spesso inutilizzate nei pomeriggi e il comune ha la possibilità di reperire altri spazi – e le famiglie in difficoltà verrebbero finanziariamente supportate. I cittadini del futuro possono essere migliori di noi. 
In secondo luogo, ravviviamo la città – non bisogna mica essere Parigi o Berlino per avere una brillante vita culturale! Mille sono le opportunità: un festival del cibo piceno, una nuova stagione teatrale invernale ed estiva all’aperto (come allo Sferisterio, perché no?), supportare lo sviluppo degli eventi e delle associazioni teatrali e culturali già attive (il Laboratorio Teatrale Re Nudo, l’Associazione Culturale Blow Up di Grottammare, l’Accademia Internazionale Formazione Arte e Spettacolo di Porto d’Ascoli, il Festival Ferré, la Fondazione Libero Bizzarri, etc.) e molto altro. In questo contesto, il Comune dovrebbe fare da traino ed armonizzatore di tutte le iniziative, le associazioni e le opportunità percorribili.
Terzo, gli spazi. Oltre ad essere il motore organizzativo della rivoluzione culturale sambenedettese, il comune deve fornire degli spazi per tenere eventi e far operare le associazioni. Da una parte, sulla falsariga di quanto fatto da Grottammare con il Vecchio Ospedale, è necessario individuare e destinare dei luoghi alle associazioni cittadine. Le possibili soluzioni sono molte: il vecchio palazzo del comune, il Centro Giovani, i locali al piano superiore del mercato del pesce, il potenziamento del Polo delle associazioni socioculturali di Agraria, la riqualificazione e destinazione ad uso pubblico e associativo di uno dei tanti ecomostri cittadini. In quest’ottica, per favorire l’incontro tra domanda e offerta di spazi, sarebbe necessario realizzare un censimento (a) delle associazioni che hanno bisogno di spazi e (b) degli spazi comunali disponibili (e potenzialmente disponibili). Dall’altra parte, manca un luogo estivo per i piccoli eventi come il teatro, i piccoli concerti ed il cinema all’aperto. Il Ballarin, abbandonato ormai da anni, potrebbe essere riqualificato in un’Arena dell’arte open air e diventare il simbolo della riscossa culturale sambenedettese e picena. 
Una rivoluzione (culturale) non la si fa certo in poche settimane o mesi. È un processo lungo e difficile, che richiede sforzi, capacità gestionali e tanta apertura al progresso. La sfida inizia con le prossime elezioni comunali: a prescindere dal colore politico di chi vincerà, avremo una giunta comunale capace di vedere il futuro? O ci limiteremo a costruire palazzine (al posto delle scuole e delle colline)?

Gianluca Scattu

Dalla parte giusta della storia: perché stare con i riders in lotta – di Daniele Lanni

Negli ultimi anni, abbiamo imparato che l’utilizzo di una parola nella sua versione inglese nasconde spesso la volontà di trasformare un concetto che già esiste in qualcosa di più appetibile e carino.
Di per sé questo può non rappresentare un problema, anzi è tutto sommato una strategia di marketing legittima. Il problema si presenta quando ciò avviene nel mondo del lavoro: la trasformazione del ruolo nasconde in realtà la cessione di una serie di diritti minimi che, grazie a questa operazione, si fanno passare come «antichi e superati», in favore di un nuovo e sfavillante nome in inglese. È il caso dei riders.
Domani sarà il No Delivery Day: giornata nazionale di sciopero dei fattorini delle consegne delle piattaforme di delivery. E la situazione che riguarda loro mi sembra esattamente quella di cui si parlava qualche riga fa.
Un bel giorno, da qualche parte, sono nate le prime piattaforme che, come ricorderete, non facevano altro che mettere in contatto il cliente con il commerciante, il quale provvedeva per conto proprio a portargli la merce richiesta. È passato poco tempo prima di rendersi conto che si poteva allargare in maniera sensibile non solo l’utilizzo di questo strumento, ma anche il guadagno, prendendosi in carico tutta la catena della distribuzione.
Ed è proprio grazie a questa intuizione che sono nate le piattaforme che oggi tutti conosciamo per farsi portare a casa il cibo da qualsiasi ristorante. Ed è così che i fattorini, categoria che ancora esiste ed è contrattualizzata nel contratto nazionale della logistica, si sono trasformati in riders.
Un passaggio decisamente non indolore, che ha trasformato dei normali rapporti di lavoro, in rapporto di lavoro autonomo occasionale. In sostanza, un rider non è assunto dalla piattaforma (in genere multinazionali milionarie), ma è un collaboratore occasionale, pagato a consegna. Ciò comporta, ovviamente, zero diritti e zero garanzie. Né malattia, né ferie, né una normale retribuzione oraria, né la possibilità di eleggere dei rappresentanti sindacali, né niente di niente. E se non fosse stato per una causa fatta dal Nidil Cgil a Firenze, neanche le basi delle norme sulla sicurezza. Basti pensare che a inizio pandemia i riders dovevano provvedere per conto proprio a mascherine e guanti.
Questo sistema di pagamento a cottimo e di considerare questo rapporto di lavoro come sostanzialmente autonomo, con tutti i mancati diritti che ciò comporta, è stato anche legittimato dalla stipula di un contratto nazionale, che l’UGL (il sindacato che fu guidato da Renata Polverini per capirci) ha siglato con i datori di lavoro. Un contratto, che in gergo sindacalese, definiamo «pirata», perché l’organizzazione che lo firma non ha mandato dai lavoratori e lo fa solo per sterilizzare le battaglie che le organizzazioni confederali stavano portando avanti per la stipula di un vero contratto.
Comunque, arriviamo a domani, e allo sciopero che i riders hanno convocato, insieme al Nidil Cgil, in tutta Italia. Le richiesta sono molto semplici: disconoscere il contratto pirata applicando il contratto nazionale della logistica anche a loro, poter eleggere i propri rappresentanti sindacali, trattamento di fine rapporto, ferie, tredicesima, malattia, salute e sicurezza. Sono richieste di buon senso, che dovrebbero essere alla base di qualsiasi rapporto di lavoro. Purtroppo, evidentemente, così non è.
Per queste ragioni, appoggiare la loro battaglia è un segno di civiltà. Molti non avrebbero mai pensato, qualche anno fa, che ci saremmo trovati ancora oggi a combattere per diritti minimi e semplici, come il diritto alla malattia retribuita. Eppure eccoci qua. Come Nidil Cgil siamo al loro fianco e cerchiamo di dare una mano, con le cause che stiamo portando avanti contro alcune piattaforme, organizzandoci insieme quando riusciamo, e abbiamo costituito anche un coordinamento dei riders che sta facendo un lavoro eccelso in moltissime città in Italia.
Venerdì chiederemo a tutti di boicottare le piattaforme e non utilizzarle, come forma di solidarietà verso lavoratrici e lavoratori in lotta. La loro lotta è simbolica, perché è la battaglia contro il tentativo in atto di rendere normale che esistano rapporti di lavoro senza nessuna tutela, mascherati come lavori «nuovi» o «smart», lavoretti per studenti. In realtà se si guarda oltre quella che è la maschera, si vedranno migliaia di lavoratrici e lavoratori veri, in carne ed ossa, che sudano davvero, che lavorano senza sosta e senza orari, senza malattia, né nessuna tutela, con un datore di lavoro che è un algoritmo, ma a guardarlo meglio assomiglia tanto ad un padrone, come li si chiamava una volta.

Daniele Lanni

Ecobonus, l’occasione sprecata dal Comune di San Benedetto – di Maurizio Di Cosmo

Con l’incentivo del 110% di rimborsi fiscali da parte dello Stato, molti sambenedettesi hanno presentato le pratiche regolarizzative necessarie per l’avvio dei lavori di efficientamento energetico delle proprie abitazioni decisamente vantaggioso.
L’occasione dell’Ecobonus è ghiotta, per i singoli e per la comunità. Essa consentirà una necessaria ristrutturazione e riqualificazione di gran parte dello scadente patrimonio edilizio cittadino.
Determinerà grandi risparmi energetici per le famiglie e ridurrà il costo della bolletta energetica nazionale con evidenti benefici nella riduzione delle emissioni nocive in atmosfera e quindi, dell’inquinamento ambientale.Permetterà anche un miglioramento “estetico” degli edifici consentendo un complessivo beneficio architettonico per la città. Molti, cogliendo l’occasione, approfitteranno per realizzare altri interventi migliorativi, compreso il rinnovo dei mobili.  
Altro fattore importante che caratterizza l’Ecobonus sta nel rilancio del settore edilizio; settore, che com’è noto, è trainante per l’intera economia. Ad oggi, molti proprietari e condomini hanno difficoltà nella ricerca di imprese edili cui affidare l’incarico dei lavori perché le stesse imprese, decimate dalla grave crisi che perdura dal 2008, sono poche e quasi tutte già impegnate almeno per tutto il 2021 e parte del 2022. L’attuale domanda è soverchiante rispetto all’offerta di lavoro. Va da sé che l’annullamento delle 6 varianti edilizie destinate ad occupare le rimanenti aree libere di San Benedetto non avrebbe alcuna conseguenza negativa sui carichi di lavoro delle imprese e sui livelli occupazionali del settore.Questa occasione di “Rilancio” impone alle imprese – che tardano a puntare sulla qualità del lavoro,su  nuove professionalità e sull’abbandono di una competitività al ribasso condita in diversi casi da lavoro nero, sommerso, dequalificato e pericoloso (scarsa tutela della sicurezza) – un cambiamento di paradigma.E’ necessario per esse assumere una mentalità di alleanza (consorzi); capire che oltre al mercato esiste la responsabilità sociale dell’impresa; smettere di puntare tutto sulle nuove costruzioni che consumano suolo e, specializzarsi sulle ristrutturazioni/riqualificazioni e, in prospettiva, anche sulla rigenerazione urbana. Questa necessità è imposta anche dalle nuove scelte politiche dell’Europa e del Paese, incentrate sulla transizione ecologica e sull’innovazione tecnologica che inesorabilmente evocano e richiedono una nuova politica urbanistica all’insegna della tutela del suolo, del paesaggio e dell’atmosfera. Tutto ciò e molto condivisibile perché il fine ultimo sta nella difesa dell’ambiente e nella qualità della vita per tutti noi.Al netto dell’eccesso di burocrazia patologica, queste considerazioni dovrebbero essere presenti nelle scelte dell’Amministrazione di San Benedetto come nel resto dei comuni del Paese.Purtroppo, a tutt’oggi, ne riscontriamo l’assenza! Anzi, l’Amministrazione comunale invece di facilitare, favorire e coordinare l’Ecobonus, realizzando in primis uno sportello dedicato per i cittadini, ne sta ostacolando l’adozione, negando agli stessi qualsiasi servizio informativo e di sostegno e addirittura, bloccando o ritardando l’iter delle numerose pratiche (450 o 1200?) giacenti presso l’ufficio Urbanistico.  Un’Amministrazione avveduta coglierebbe questa occasione! Da un lato la positività di ciò sta proprio nel recupero della “bellezza del paesaggio urbano” decisivo per la vocazione turistica della ns. città. Dal lato della responsabilità politica, il Comune dovrebbe verificare, anche con le poche risorse disponibili, quali integrazioni potrebbe offrire alle ristrutturazioni private inerenti al singolo edificio (ad esempio: nuovi servizi, progettare con ENEL, TIM, CIIP e Società del Gas l’interramento dei cavi e la sistemazione della rete delle tubazioni, ecc.) o un intero isolato/quartiere, prevedendo e programmando una generale riqualificazione. E’ vero che oggi queste ultime non sono alla portata delle risorse comunali disponibili; tuttavia, anche riconoscendo la necessità di una riforma delle modalità di finanziamento dei comuni (da 50 anni purtroppo spinte a rilasciare concessioni edilizie e vendere suolo libero) va considerato che il Recovery Fund e la nuova programmazione dei Fondi Strutturali europei renderanno disponibili capitali pubblici all’altezza del compito che proponiamo, soprattutto per la riqualificazione urbana.Un’altra considerazione riguarda la gran parte delle case/palazzine di San Benedetto che è stata costruita negli anni ’60 e ’70, quando normative edilizie e controlli erano fumosi e le piccole variazioni interne agli appartamenti rispetto alle piante originali si facevano alla rinfusa. Oggi, sanare in comune quelle piccole difformità, che riguardano anche i condomini, ha subito un forte rincaro: da circa 500 a 1500 euro. L’Amministrazione, oltre a sveltire le pratiche giacenti, dovrebbe emanare misure per rendere meno oneroso sanare le piccole difformità edilizie, in virtù della presenza di una storica corresponsabilità amministrativo-politica condivisa con i piccoli proprietari dei vecchi edifici che oggettivamente, richiedono di essere ristrutturati e riqualificati.In conclusione, l’Ecobonus è da considerare come un elemento di un processo di profondo e più ampio cambiamento dell’intervento urbanistico – edilizio incentrato sulla ristrutturazione/riqualificazione/rigenerazione. Esso è parte di una politica Europea e nazionale (PNRR) che cambia il paradigma delle politiche, incentrandolo sulla tutela ambientale, sull’abbattimento del consumo delle risorse limitate (come il suolo, ecc.), su necessari nuovi stili di vita non più votati al consumo, ma alla cura.Il futuro sta qui, in nuovo modello di sviluppo sociale, ambientale, economico sostenibile. L’Amministrazione comunale e il sistema delle imprese se ne sono accorti?

Maurizio Di Cosmo
(Comitato Fermiamo il consumo di suolo)

Perché è arrivato il momento di metterci la faccia – di Francesca Huda, Marco Giobbi, Iacopo Zappasodi

Nei mesi scorsi, insieme ad altre compagne e altri compagni, abbiamo cominciato un percorso di partecipazione alla vita politica del nostro territorio: Miranda.
Un laboratorio di partecipazione e politica, abbiamo detto, per noi un modo nuovo di stare insieme e di confrontarsi, senza casacche, liberә da schieramenti precostituiti e da preconcetti reciproci. Stiamo affrontando questo percorso con spirito libero, da giovani donne e uomini liberә e di sinistra. Miranda è questo, uno spazio dove confrontarsi e maturare idee fuori dagli schemi, «una forma originale della politica».
Nei giorni passati proprio in un’assemblea di Miranda è uscita fortissima la necessità di imprimere una svolta a quello che accade in questa città e nel nostro territorio, ed è uscita la necessità di metterci la faccia sul serio. Dal primo giorno abbiamo sempre riconosciuto il ruolo dell’impegno politico e sociale, nelle associazioni, nei sindacati, nei movimenti, e nei partiti. Moltә compagnә di strada militano in qualche partito, nelle associazioni, nei sindacati, altrә lo hanno fatto e sono rimastә scottatә, altrә ancora non lo hanno fatto mai. Ma a tutte e tutti si è rivolta quell’assemblea e ha chiesto alla nostra generazione di caricarsi la propria fetta di responsabilità e fare qualcosa.
E insomma, eccoci qua.
Abbiamo scelto di portare la nostra parte di contributo dentro il Partito Democratico. Lo facciamo consapevoli delle difficoltà che questo schieramento vive, anche nella nostra città, ma un po’ rincuorati dalla visione che il nuovo segretario nazionale, Enrico Letta, ha espresso. Non è il cambio di segreteria di per sé ad averci fatto maturare questa scelta, ma la consapevolezza, che vediamo sempre più crescente, che serva un «nuovo Pd». Noi vogliamo proprio questo: un partito rinnovato e capace di incidere nella società. Un Partito Democratico che sia fuori ai cancelli delle fabbriche con le lavoratrici e i lavoratori, che appoggi le battaglie delle studentesse e degli studenti per i propri diritti, che sia un partito di lotta e di governo, non solo una centrale di potere, come si sarebbe detto in un tempo che non abbiamo mai vissuto. Vogliamo un partito nuovo, che si apra alle nuove generazioni, capace di rinnovare le proprie idee, di unire tutta la sinistra e il centrosinistra, di dialogare con il sindacato, con le associazioni che popolano il territorio, di essere la voce delle e degli esclusә di questo paese.
Vogliamo farlo offrendo il punto di vista della nostra generazione, delle esperienze e delle posizioni che abbiamo maturato duranto le nostre esperienze. Vogliamo farlo, rilanciando un’iniziativa forte sul territorio su temi come il voto per le e i 16enni, lo Ius Soli, la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, il lavoro, che è un concetto ormai da ridiscutere a partire dalle sue fondamenta.
Sappiamo che per tutto questo serve un «partito nuovo», in grado di esprimere le proprie politiche in maniera libera, in grado di dotarsi di una struttura forte e solida, in grado di innovare la propria classe dirigente in continuazione.
Anche San Benedetto ha bisogno di un Pd nuovo, un Pd a disposizione della collettività del centrosinistra di questa città, un Pd che difenda i valori dell’antifascismo e che denunci il parentifico dell’attuale amministrazione, un Pd anche in grado di immaginare una città nuova, una mobilità sostenibile. E, soprattutto, un Pd capace di dire tutte queste cose con chiarezza. Noi vogliamo dare il nostro contributo. Lo vogliamo fare senza però mai rinunciare alle parole che ci hanno rimesso in moto, prima con la candidatura di Valeria Cardarelli, poi dentro Miranda: unità (della sinistra), e rinnovamento (delle idee e dei volti). Continueremo a spenderci per le nostre idee anche in questa nuova avventura.

Francesca Huda
Marco Giobbi
Iacopo Zappasodi