Elezioni comunali, la versione di Miranda

Nelle ultime settimane abbiamo taciuto. Lo abbiamo fatto mentre tuttə ci tiravano per la proverbiale giacchetta, hanno messo in giro voci non sempre lusinghiere sul nostro conto, hanno cercato di strumentalizzare posizioni che non abbiamo mai assunto. Avremmo avuto molte cose da dire, ma, per il principio di correttezza che – faticosamente – abbiamo sempre seguito in questo nostro percorso alla ricerca dell’unità e rinnovamento del centrosinistra, abbiamo preferito tacere: non ci sembrava il caso, insomma, di infiammare ulteriormente un dibattito politico già di per sé stupidamente incandescente.
Adesso però crediamo sia arrivato il momento di prendere la parola, e intendiamo farlo in modo completo e articolato, in modo che non possano più esserci dubbi su quello che è e quello che vuole fare Miranda – Laboratorio di politica e partecipazione.
Ripercorriamo i fatti: circa due settimane fa, tra mille difficoltà, abbiamo convocato la candidata sindaca e i due candidati sindaco dell’area democratica, progressista e antifascista di San Benedetto. Avevamo chiesto riservatezza e il proposito è sfumato nel giro di pochi minuti dal termine dell’incontro. Ad ogni modo, durante l’incontro è stato chiesto loro, in quanto rappresentanti di un discreto numero di forze civiche e politiche, di fare un passo indietro per favorire l’unità della coalizione su un nome diverso dal loro. Lo abbiamo fatto sulla base di una serie di considerazioni eminentemente politiche: quando, per la prima volta, all’inizio di giugno siamo riuscitə a mettere i tre candidatə a sedere allo stesso tavolo, abbiamo constatato che, tra loro, non sussistessero differenze sostanziali di visione politica sul futuro della città. Abbiamo così pensato che il problema non fosse tanto quello di raggiungere una sintesi programmatica, quanto quello di trovare un nome in grado di mettere insieme le varie anime.
Non era nostra responsabilità, ma una proposta l’abbiamo avanzata e abbiamo contestualmente chiesto ai e alla candidatə di discutere della cosa con le forze politiche che li sostengono. Al termine dell’incontro abbiamo inoltre detto alla candidata e ai candidati che sarebbe stato programmato un nuovo incontro per ascoltare le loro risposte alla nostra proposta.
Nei giorni seguenti le risposte sono arrivate a mezzo stampa, cosa che abbiamo ritenuto leggermente offensiva nei nostri confronti, vista la correttezza che abbiamo sempre dimostrato verso tuttə. Ci saremmo aspettatə, insomma, maggiore rispetto e una risposta franca e sincera, guardandoci negli occhi.
In ogni caso, abbiamo preso atto di queste notizie, giudicandole comunque molto poco utili a raggiungere l’obiettivo che più interessa non tanto (e non solo) Miranda, ma soprattutto i cittadini e le cittadine sambenedettesi che vorrebbero sostenere una coalizione di centrosinistra: l’unità.
Con un notevole sforzo in termini di pazienza, abbiamo comunque deciso di convocare nuovamente i candidati e la candidata per ricevere una risposta ufficiale alla nostra proposta: crediamo in una politica fatta di valori e di persone, quindi continuiamo a pensare che il confronto diretto sia il metodo migliore per affrontare e (auspicabilmente) risolvere le questioni.
A questa chiamata hanno subito risposto in maniera affermativa sia Paolo Canducci sia Serafino Angelini, mentre, ancora una volta a mezzo stampa, abbiamo appreso che Aurora Bottiglieri non si sarebbe presentata.
Per il dovuto rispetto verso chi ci aveva mostrato la propria disponibilità, abbiamo deciso di svolgere comunque l’incontro. L’assenza di una parte importante della coalizione che auspichiamo, non possiamo che leggerla come un qualcosa di negativo e, in una certa misura, anche un poco scorretto verso il nostro lavoro, e il nostro impegno a mantenere tutta la vicenda sui binari del rispetto.
L’incontro, ad ogni buon conto, ha prodotto comunque una notizia positiva: la disponibilità di massima dei due candidati presenti a fare un passo indietro, qualora anche la terza lo facesse, in favore di un nome di unità.
Senza farci alcuna illusione, comunque, si tratta sicuramente di un fatto positivo e che ci auguriamo apra nuove possibilità e scenari.
Al netto di tutto ciò e alla luce dei fatti di questi giorni – già, sin qui abbiamo semplicemente raccontato in maniera accurata come sono andate le cose –, crediamo di dovere fare alcune considerazioni.
1) Miranda è un laboratorio di politica e di partecipazione, non un’associazione, non un partito, non «i giovani del Pd», non una corrente ad uso e consumo di questo o di quello. Siamo «una forma originale della politica», come abbiamo detto sin dalla nostra fondazione lo scorso mese di ottobre.
2) Miranda è un agglomerato di ragazze e di ragazzi che vengono da esperienze politiche diverse, diversi modi di intendere la militanza, diversa appartenenza. Alcuni hanno tessere di partito, altri del sindacato, altri ancora fanno parte di associazioni e collettivi. C’è anche chi è alla prima esperienza in assoluto. Riteniamo tutto questo un patrimonio di freschezza e di credibilità di cui la galassia progressista cittadina ha molto bisogno.
3) In questi mesi moltə hanno sentito il bisogno di dirci «dovreste fare questo, dovreste fare quello…». Molti, anzi quasi tutti, ci hanno attaccato addosso l’etichetta di essere eterodiretti da questo o quell’esponente politico. Vi vogliamo rivelare un segreto: Miranda non risponde e non risponderà mai a nessuno, perché Miranda è una realtà composita, che si fonda sull’idea che una politica diversa sia possibile tra ragazze e ragazzi che la pensano talvolta anche in maniera molto diversa tra loro. I nostri obiettivi saranno sempre quelli dell’unità e del rinnovamento. Se per raggiungerli dovremo scontentare qualche notabile o qualche dirigente, ce ne faremo una ragione.
4) Quello che tiene insieme Miranda è un’idea molto semplice: una politica progressista, antifascista, transfemminista, ecologista è possibile in questa città, ma è possibile solo superando le vecchie divisioni, che con la politica hanno molto poco a che fare. Questo, per noi, vuol dire rinnovamento: costruire un nuovo modo di fare.
5) Il percorso di Miranda è appena cominciato. Continueremo a lavorare con coerenza e coraggio alla costruzione di una coalizione ampia, nella società prima ancora che tra le forze politiche. Il mondo non finirà dopo le prossime elezioni, e noi saremo ancora qui.
6) Miranda continuerà a svolgere il suo ruolo di contenitore di nuove esperienze, nuova partecipazione e nuovi stimoli per San Benedetto. Promuovendo la nascita di nuovi spazi di partecipazione e democrazia, in qualsiasi forma. Comunque andranno le prossime elezioni comunali, il nostro impegno non è destinato ad esaurisi.
7) L’auspicio di Miranda è che, nonostante la testarda litigiosità che la classe dirigente del centrosinistra cittadino ha dimostrato fino a qui, i sambenedettesi sapranno andare avanti.

Tanto dovevamo,
le compagne e i compagni di Miranda

L’ultima chiamata per unire i progressisti e sconfiggere le destre. Invito alle candidate e ai candidati

Di parole, su queste colonne come altrove, nelle nostre assemblee e in ogni spazio possibile, ne abbiamo spese tantissime sull’importanza di ricomporre il quadro della sinistra sambenedettese. La pericolosità e incapacità della destra che ha governato la città la conosciamo tutti bene e non ci convincono esperimenti centristi aperti ad accogliere pezzi di centrodestra, e addirittura pezzi dell’amministrazione uscente.
Il 25 Aprile è stata una bellissima giornata di mobilitazione quest’anno a San Benedetto, tutti ne abbiamo memoria e ne siamo stati orgogliosi. E in quella piazza abbiamo respirato il profumo di antifascismo ed unità che vorremmo vedere anche a San Benedetto, mentre vediamo ancora il nostro campo non ricomposto e non in grado di costruire le giuste mediazioni, rinunciando agli attriti del passato e ai personalismi che tanto hanno fatto male al centrosinistra e ai progressisti
In questo spirito, quello che ci ha mosso dall’inizio, del rinnovamento, dell’unità, della ricomposizione del nostro campo, dell’unità delle forze progressiste e antifasciste, abbiamo deciso di invitare ad un incontro aperto con le ragazze e i ragazzi che hanno animato il percorso del Laboratorio di Politica e Partecipazione Miranda, i tre candidat* che in questo momento sono in campo: Aurora Bottiglieri, Paolo Canducci e Serafino Angelini.
A loro arriverà il nostro invito, luogo e data da confermare, per confrontarsi con le ragazze e i ragazzi di Miranda sui temi centrali per il rilancio di San Benedetto, sulle ragioni che devono farci maturare una spinta unitaria, sulle questione che i nostri attivisti vorranno porgli.
Ora che siamo ormai agli sgoccioli e la campagna elettorale incombe, noi siamo convinti che un tentativo ultimo di tentare una ricomposizione lo dobbiamo, per coerenza, alle ragazze e ai ragazzi che ci hanno seguito e che hanno creduto in un campo progressista unito, forte, convincente e vincente.
Come abbiamo scritto spesso: non è più il tempo delle divisioni, è il tempo dell’unità.
Questa è l’ultima chiamata. Rispondete, vi preghiamo.

Le ragazze e i ragazzi di Miranda

Super Lega in fuorigioco

Nelle coppe europee prevale l’imponderabile. Dobbiamo trasformarle in un campionato continentale, con certezze gestionali ed economiche per le società. Andremmo a giocare sempre a Madrid, Barcellona e Lisbona, non in qualche paesino sperduto di provincia
Analizziamo il virgolettato.
Si parte dall’ “imponderabile”. L’imponderabile stuzzica un desiderio tra i più irrefrenabili del genere umano: la curiosità. Di fronte all’imponderabile, lo scienziato si pone l’obiettivo di scoprire, conoscere e mettere le nuove nozioni a disposizione dell’umanità intera. È quanto i ricercatori di tutto il mondo hanno fatto e continuano a fare di fronte all’imponderabilità della pandemia da Coronavirus. 
L’uomo economico non dispone degli strumenti dell’uomo di scienza, ma sa che qualsiasi cosa generi un desiderio può diventare un prodotto da commercializzare. Seguendo il suo schema, l’attrazione per l’imponderabilità va normalizzata e messa a disposizione della clientela già esistente e potenziale, attraverso una promozione di immediata comprensione. In questo caso, le Coppe vanno “trasformate” al fine di generare “certezze gestionali ed economiche”: il salto nell’imponderabilità, altro non è che un’occasione da cogliere.
La frase conclusiva è il veicolo promozionale che mette a confronto le capitali del calcio “Madrid, Barcellona e Lisbona” con il “paesino di provincia”. Un campionato composto esclusivamente da super-partite, un lusso fruibile da tutti previo pagamento di un canone TV, messo a paragone con le trasferte faticose, fangose e tetre come la vita di tutti i giorni. 
Silvio Berlusconi pronunciò la frase analizzata finora nel contesto ideale, durante la festa per il suo Milan che aveva appena conquistato il campionato. Era il 17 maggio 1988 e Berlusconi era stato il primo ad evocare la creazione di una Super Lega.
Quanto successo a partire dalla notte di domenica 17 aprile e per le successive 48 ore, dunque, altro non è che la naturale prosecuzione di una traiettoria che ha avuto origine, come visto, in tempi non recenti. Accelerata e catalizzata da una crisi pandemica che ha aggiunto lacrime e sangue a bilanci societari non immacolati, grazie a gestioni manageriali oltre lo spericolato. La proposta di una Super Lega chiusa, elitaria e a inviti, però, non avrebbe solo introdotto una nuova competizione, né semplicemente decretato il declino di un’altra. Piuttosto avrebbe causato la modificazione genetica di uno sport sottoposto già da anni a logiche finanziarie e imprenditoriali ben lontane dallo spirito sportivo. Vien da chiedersi allora quale possa essere il futuro del calcio se si comprende, com’è probabile, che il progetto Super Lega sia solo rimandato ma non archiviato. Una strutturale virata verso lo show-business di matrice USA (che ne dimentica i correttivi) tesa a trasformare i tifosi in clienti, a volgere lo sguardo verso ricchi mercati esotici nascondendosi dietro il paravento delle nuove generazioni, poco attente al calcio come narrativa vorrebbe. Ma se questo disinteresse esiste, come rilevano i sondaggi, forse le responsabilità vanno anche cercate oltre i format. In un modello di sviluppo e di ripartizione di risorse che da vent’anni a questa parte insegue l’incremento degli introiti dimenticando di calmierare i costi, aumentando la forbice tra grandi club e medio-piccoli, con poche multinazionali applicate al pallone che fagocitano tutto. Segno dei tempi, si dirà, peccato che la svolta aziendale non sia accompagnata da un’adeguata gestione manageriale, producendo conti che avrebbero costretto qualsiasi altra impresa a portare i libri in tribunale da tempo. Senza dimenticare poi le ricadute di questi costi sui tifosi, in special modo i più giovani, globalmente sempre più poveri e precari e tenuti lontani dal calcio anche a causa di costi ormai fuori portata tra stadio e abbonamenti tv vari. 
Ciò che lascia questa brutta storia di goffi colpi di mano tentati nel giro di una notte è il senso di un’occasione persa e una leziona mancata. Che la pandemia potesse rappresentare il detonatore di un cambiamento strutturale orientato verso la sostenibilità anziché l’incremento di una bolla. E invece il senso della tentata Super Lega ci parla solo della disperazione di pochi club che annegano tra i debiti senza sapere come uscirne se non proponendo competizioni di plastica. Tutto l’opposto di quello che si dovrebbe fare, mentre chi fino ad oggi è stato complice di questa deriva, ovvero le istituzioni sportive, può ipocritamente ergersi a paladino della purezza del gioco. Un ossimoro edificato dall’ingordigia di pochi, forse in linea con i tempi, chissà col futuro.
Tutto molto attuale, tutto molto triste. 

Paolo Piunti
Luca Cinciripini

La strada da imboccare – di Stefano Chelli

Alcuni giorni fa mi è capitato di discutere con un attivista politico del centrodestra locale. Chiesi quale fosse la sua visione strategica per il futuro del territorio. Mi rispose elencando una mirabolante lista di infrastrutture, soprattutto stradali. Rimasi perplesso e ripetei la domanda. «Te l’ho appena detto», rispose seccato.
Riflettei su due aspetti. Innanzitutto c’era una chiara confusione metodologica e concettuale sulla differenza tra strategia, obiettivi ed azioni finalizzate ad attuarli. Confusione che purtroppo credo sia estremamente diffusa nell’attuale classe politica locale, regionale e nazionale. L’importante è “fare cose”, mostrare che si è uomini del “fare”. Il contesto in cui si inserisce questo “fare” è assolutamente assente, così come la direzione verso cui si vuole guidare una comunità.
L’altro aspetto entra nel merito della questione, ossia le infrastrutture, soprattutto stradali. Terze corsie e bretelle serpeggiano già nell’attuale campagna elettorale locale e saranno bandierine da sventolare sempre più. Già si intravedono passerelle di politici regionali e locali pronti ad evocare piogge di milioni di euro e di bitume. Quali sono i reali benefici economici e sociali di tutto questo, in un territorio già estremamente “infrastrutturato”? Raggiungere Grottammare risparmiando 10 minuti è forse strategico per le imprese locali? O crediamo ancora alla favoletta (smentita da decenni) che nuove strade riducono il traffico e il relativo inquinamento? Evitare quei 3 o 4 incolonnamenti nel periodo estivo (al netto dei continui e disorganizzati cantieri autostradali) permetterà l’arrivo di frotte di nuovi turisti e il passaggio di nuove merci? Guardiamoci negli occhi, la risposta è NO.
L’esempio lampante è dato dall’entroterra marchigiano; mi riferisco alla zona del fabrianese, area interessata decenni or sono dal dirompente fenomeno dell’industria montana. Fenomeno originato in un periodo di scarsa infrastrutturazione del territorio ed oggi completamente tramontato, nonostante le faraoniche opere della cosiddetta “quadrilatero”. Si veda la progressiva desertificazione industriale (oggi si discute ad esempio dell’azienda Elica) in parallelo all’inaugurazione di nuovi tratti della quadrilatero.
Le evidenze ci portano a considerare che, nel XXI secolo, in un paese sviluppato, serva ben altro. Infrastrutture si, ma che partano dalla nostra testa: innovazione, ricerca, formazione, nuove tecnologie applicate alla quotidianità. Questa credo sia la chiave per una crescita del nostro territorio, per creare nuova occupazione, per migliorare la qualità della vita e dell’ambiente.
Senza questa “visione”, le nuove strade serviranno per…emigrare più velocemente!

Stefano Chelli

La nostra parte – di Iacopo Zappasodi

Ho letto con piacere l’intervento di Gianluca Pompei su MirandaMag. Il piacere è dettato dal fatto che il suo contributo si inserisce nella cornice che da qualche tempo a questa parte stiamo provando a proporre per San Benedetto: Miranda nasce per far circolare aria fresca all’interno del centrosinistra, ben vengano quindi gli interventi e i contributi di chi fa parte di questo grande campo politico.
«Dalla parte delle persone» s’intitola l’intervento di Gianluca e sicuramente non gli sarà sfuggito che il motto è preso di peso dalla campagna elettorale del 2020 del Pd di Nicola Zingaretti, quando il centrosinistra che secondo tutti gli osservatori avrebbe dovuto affondare alle regionali ha invece resistito all’assalto della destra, confermandosi al governo di regioni importanti come la Puglia, la Campania e la Toscana.
Fu la conferma che, dove il centrosinistra riesce a fare il centrosinistra, i risultati poi si vedono e le cittadine e i cittadini se ne accorgono.
Nelle Marche, lo sappiamo, le cose sono andate diversamente: il nostro impegno in quella sede fu ingente ed è grazie ai voti che abbiamo preso sostenendo la candidatura indipendente di Valeria Cardarelli che il Pd è riuscito a rimanere primo partito nella provincia di Ascoli: è aritmetica, i mille voti di differenza sulla seconda lista, quelli di Fratelli d’Italia, sono stati quelli mobilitati dalle ragazze e dai ragazzi che poi avrebbero costruito Miranda.
Non è bastato, evidentemente, e dobbiamo chiederci il perché. Soprattutto in vista delle comunali di San Benedetto che si svolgeranno in autunno.
Veniamo, e Gianluca l’ha sottolineato bene, da cinque anni di sfascio firmato dal centrodestra. Una città aperta e democratica che si sta trasformando in cupa, depressa e ripiegata su se stessa: abbiamo il compito di fermare questo declino e ripartire.
Come si fa?
La prima cosa che mi viene in mente è dire: «unendo le forze». Più facile a dirsi che a farsi: i personalismi, i «divismi», le fughe in avanti purtroppo stanno diventando un’abitudine per tante compagne e tanti compagni della vecchia guardia, ma più in generale per tutto il personale politico di questa città, di cui abbiamo stima ma che sinceramente talvolta stentiamo a capire.
Penso però a quello che il Laboratorio di Miranda s’è dato come obiettivo sin dalla prima assemblea del 10 ottobre: ricostruire il modo di far politica aprendo una discussione sì larga ed aperta a tutti, basata però su argomenti e tematiche di interesse cittadino. Occorre rendersi conto che le sambenedettesi e i sambenedettesi meritano di più rispetto a quello che è stato offerto loro negli ultimi anni. E non parlo solo della destra – sono quello che sono e non potranno mai essere meglio di così – ma anche del centrosinistra e delle forze che lo compongono, che lo hanno composto, o che vorrebbero comporlo.
La nostra parte funziona solo se è aperta e se discute di temi. Aperta alla circolazione delle idee, ai nuovi volti, alle nuove pratiche. Se si chiude in mille divisioni, se ciascuno costruisce il suo fortino con l’unica prospettiva di escludere le altre e gli altri, semplicemente, la nostra parte non esiste. Se non impariamo a tradurre in attività politica quelli che sono i problemi di una società sempre più liquida e non capiamo come affrontarli in maniera strutturale, la nostra parte non esiste.
Una cosa in particolare mi sento di appuntare a Gianluca, che, come è noto, è impegnato nella costruzione di una coalizione «civica». Non è sufficiente, a mio avviso, organizzare un gruppo di persone che, per evitare le contraddizioni, rinunci ad avere una collocazione politica. Per essere più chiari, non basta mettere insieme le preferenze – raccogliendo anche centristi e scontenti di destra – per trasmettere una idea di città convincente. Il punto non è superare la destra e la sinistra, anche perché questo ricorda da vicino quanto un noto Movimento predicava fino a non troppo tempo fa, salvo poi allearsi prima con la destra e poi con la sinistra.
E allora Gianluca lo voglio sfidare, dalle colonne di questo Miranda Mag, ad abbandonare l’isolamento e ricostruire tutti insieme il centro sinistra: dalle compagne e i compagni di “Cambia San Benedetto” alle amiche e agli amici moderati. Perché la nostra generazione non può e non deve costruire steccati: su molte cose la pensiamo diversamente ma sono convito che Gianluca come tantə altrə, ognuno con le proprie idee, sia una risorsa per rinnovare il centrosinistra. Personalmente sto cercando di farlo dentro al Partito Democratico, e sono convinto che Gianluca lo possa fare nel partito che più lo rappresenta, ma senza contribuire a creare ulteriori steccati, senza la necessità che ogni piccolo gruppo debba creare nuove divisioni. Non è questione di persone, è una questione di prospettive comuni. Per questo credo che Gianluca potrà essere altrettanto libero anche ritornando a costruire un grande centrosinistra.
Tuttə insieme.

Iacopo Zappasodi

Dalla parte delle persone – di Gianluca Pompei

Leggo sempre con piacere gli articoli che sta pubblicando in questi giorni Miranda Mag, come seguo con interesse il dibattito che in modi e sedi diverse sta contribuendo a riaccendere.
E allora mi sono chiesto se ci fosse un modo, una prospettiva, che potesse aiutare ad allargare quel dibattito. Se fosse possibile portare all’attenzione angolazioni diverse, che potessero in qualche maniera aiutare a portare quel dibattito un passo più avanti.
Il minimo comune denominatore mi sembra chiaro, ridare a San Benedetto un futuro, uno degno di questo nome, uno che non sia da un lato un presente che continua ad invecchiare come quello che stiamo vivendo in questi 5 anni, ma neanche un “futuro da torcicollo” uno di quei futuri fatti tutto di un guardarsi nostalgicamente indietro quasi cedendo al tragico adagio del “si stava meglio quando si stava peggio”.
E allora se è vero che per ridare una prospettiva a questa nostra città dobbiamo fare lo sforzo di unirla, perché nelle divisioni e nella frammentazione prosperano i personalismi e perché nelle divisioni vincono i più forti e i più deboli e soli si ritrovano ancora più deboli e ancora più soli, allora la vera domanda da farci è intorno a cosa vogliamo unire questa città.
Se i valori e gli ideali come libertà e democrazia sono certamente il fertilizzante dei semi migliori è certo che restano il fertilizzante, l’humus, ma non possono sostituire i semi, le idee, gli orizzonti.
Per questo in una città ripiegata su se stessa, stremata dalla pandemia e dalle sue conseguenze arrivate come calci su un corpo sociale già a terra per gli anni di crisi e per quelle speranze di futuro che hanno lasciato San Benedetto da troppo tempo, come le sue energie migliori, un futuro che abbia la dignità del nome che porta non può che ripartire dalla ricostruzione di un senso di comunità.
Se da un lato la pandemia ha mostrato tutta la fragilità della nostra società, tutti i limiti dei nostri sistemi di sostegno e di welfare, dall’altro ha anche rivelato al grande pubblico un tessuto trasversale fatto di solidarietà e generosità di persone che sono state e sono pronte ad attivarsi per aiutare il proprio vicino che non ce la fa.
Un tessuto fatto di associazioni, gruppi, ma soprattutto persone che non hanno sentito il bisogno di fermarsi alle etichette, alle storie e alle cronache personali, per sapere che era il momento di dare una mano alle altre persone.
E forse è da qui che potremmo ripartire, dalle persone.
Da una città che oltre il rumore delle classi dirigenti di ogni colore, sempre più esigue, ha dimostrato nella sofferenza di saper ritrovare la voglia di combattere per i suoi cittadini senza sentire il bisogno di sapere che bandiera sventolano o per quali generali hanno parteggiato o combattuto in passato.
Perché se è vero che questa pandemia è come una guerra allora dobbiamo pensare che quando la guerra è finita una comunità vera prova a ripartire insieme e solo i pazzi e gli invasati passano a falciare i sopravvissuti che furono avversari o a spargere il sale nei campi da cedere a quelli che furono il nemico.
Sono certo che questa città, quella fatta dalle persone che non si lasciano andare a questi istinti, al “se non è per me non è per nessuno”, è la maggioranza dei sambenedettesi, ed è la nostra più vera ed autentica città.
C’è molta più San Benedetto in quelle persone che nelle opere pubbliche, nei particolarismi, in tutto il resto.
Ci aspettano anni che temo passeremo molto più a cercare di tirare “fuori dal fango” i nostri concittadini travolti da questa nuova realtà che ci ha sconvolto la vita, che a costruire cattedrali o a comporre inni per far ricordare l’ego dei governanti di turno.
E allora oggi il vero coraggio è come sempre quello di prendere parte, ma non di stare dalla parte di questo o di quello, a destra o a sinistra, per difendere il poco che abbiamo e che siamo terrorizzati di perdere, no.
Il coraggio del nostro tempo è quello di stare dalla parte delle persone.
Perché le persone sono ciascuno di noi e l’unica San Benedetto possibile sarà quella che avrà il coraggio di dire che una città, che sia città veramente, se è costretta a scegliere, sceglie di ripartire iniziando dalle piccole cose, perché dalle piccole cose possiamo non solo ripartire ma possiamo anche farlo tutti insieme.

Gianluca Pompei

Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, fuori dalla retorica – Dott. Fabio Lucidi

È nuovamente il 2 aprile e, come ogni anno, provo sentimenti contrastanti che tentano di dialogare tra loro. 
Da un lato, il piacere di leggere articoli, ascoltare servizi e testimonianze che raccontano di un mondo, quello del disturbo dello spettro autistico (ASD), di cui nel nostro paese si parla ancora troppo poco e talvolta in maniera imprecisa. 
Dall’altro, uno scoraggiamento viscerale dovuto al fatto che il 2 aprile duri soltanto 24 ore e che dal 3 aprile in poi, per altri 364 giorni, la lampadina blu che tanto vediamo pubblicizzata, resti spenta, anzi fulminata!
Una cara amica e collega qualche giorno fa mi ha telefonato perché alle prese, per la prima volta, con un bambino delle scuole elementari con diagnosi di spettro autistico. Naturalmente provata dall’esperienza mi ha rivolto una domanda lecita e ben precisa: «Come si fa ad entrare in relazione con loro? Ho un ragazzo che sembra non ascoltarmi proprio, eppure lui svolge anche una terapia, ma non mi pare che abbia imparato molto».
Ci sono due aspetti, relativamente a questa richiesta, che possono aiutarci a capire alcuni nostri pregiudizi sull’autismo e allo stesso tempo guidarci nella relazione.
Il primo è che ci sia un modo universale per rapportarsi alle persone con autismo. Non è così, la parola “spettro” indica proprio un ventaglio di condizioni eterogenee, una sorta di continuum rispetto al quale ogni persona con ASD si posiziona, e che merita un piano educativo e terapeutico individualizzato, sulla base del livello cognitivo, linguistico, della severità sintomatologica, della presenza di comorbidità associate e della fase di sviluppo che la persona sta attraversando.
Il secondo riguarda l’idea che è lui che non ascolta, non impara, che non c’è nella relazione, e che dalla terapia lui non abbia imparato molto.
Se negli anni abbiamo iniziato pian piano a familiarizzare con il concetto di spettro, cercare di abbattere questo secondo pregiudizio è più complesso. Per farlo occorre metterci in discussione, rivedere il nostro modo di stare in relazione, il nostro mondo interno e farci i conti. E a volte il conto è particolarmente salato, per cui meglio far pagare qualcun altro.
Il problema è che a forza di far pagare l’altro, prima o poi quest’altro, a cena con noi, non ci verrà più.
Lo so, pensare che sia unicamente la persona con ASD a dover cambiare ci assolve dalle nostre responsabilità. D’altronde non siamo noi che abbiamo la diagnosi, non siamo noi a non saper comunicare, non siamo noi a non apprendere dal rapporto con gli altri. Ma ne siamo davvero così sicuri?
Mi addentro ora in un terreno scivoloso: quante volte abbiamo odiato dei cambiamenti improvvisi? Quante volte abbiamo avuto il bisogno di stare da soli, di isolarci da tutto e tutti? Quante volte abbiamo provato a comunicare qualcosa, ma non ci hanno davvero compreso? Quante volte abbiamo avuto bisogno di riordinare l’ambiente che ci circonda, prima di metterci a lavorare? Quante volte siamo stati in difficoltà ad una festa, ad un pranzo o una cena con sconosciuti? Quante volte, con una persona che ci piace non sappiamo come comportarci?
Beh, tutte queste volte abbiamo assaporato l’autismo. In forma diluita sicuramente, ma la qualità del sentimento è la stessa. Ecco allora perché, forse, sintonizzarci con queste persone ci viene particolarmente difficile, perché difficile è contattare le nostre parti autistiche senza scappare.
Per rispondere dunque alla domanda della collega, entrare in relazione con le persone con ASD è possibile, sempre. Il punto è trovare cosa e come possiamo cambiare noi, cosiddetti “neurotipici”, per far si che il tempo trascorso insieme sia uno scambio buono per entrambi.
Questo 2 aprile, per favore, non illuminiamo le statue di blu, non serve a niente. Facciamo informazione, partecipiamo a corsi di formazione, andiamo in terapia.
Nel frattempo la regione Marche ha recentemente pubblicato il bando per l’erogazione di contributi in favore di famiglie con persone con disturbo dello spettro autistico.
Possono farne richiesta le famiglie che hanno sostenuto spese per gli operatori specializzati che effettuano interventi educativi e riabilitativi basati su metodi riconosciuti dall’ISS (Istituto Superiore della Sanità).
La documentazione va presentata entro il 10 maggio 2021 presso il proprio comune di residenza.
In allegato il link con tutte le informazioni necessarie.
http://www.grusol.it/informazioni/21-03-21.PDF

Dott. Fabio Lucidi – Psicologo
fabio.lucidi@hotmail.com

PEPA NERO – di Miranda

Quando ormai l’avventura dell’amministrazione di Pasqualino Piunti arriva alle sue battute finali, la Lega fa il suo trionfale ingresso in giusta, accaparrandosi la delega al Bilancio, lasciata scoperta dal dimesso (per motivi mai dichiarati) Andrea Traini.Si tratta di Gian Luigi Pepa, avvocato, storico e «figlio della nazione», come lui stesso si definisce nel suo curriculum. Già membro del Cda dell’Azienda Multiservizi, prima di diventare assessore, Pepa aveva fatto parlare di sé tre anni fa, il 29 luglio del 2018.Vi dice qualcosa questa data? È il giorno del compleanno di Benito Mussolini. In un gruppo di Facebook il cui nome è tutto un programma («Movimento Nazionale per la Sovranità», leader Gianni Alemanno), l’uomo che Piunti ha scelto per gestire il bilancio in questi ultimi mesi scrive: «Oggi nasceva Benito Amilcare Andrea Mussolini (Dovia di Predappio, 29 luglio 1883 – Giulino di Mezzagra, 28 aprile 1945) è stato politico, dittatore e giornalista italiano. Buon compleanno alla memoria».

Un lato positivo c’è, comunque l’ha definito dittatore. Copiamo dalla Treccani: «Chi governa o esercita comunque la propria autorità in modo dispotico e intransigente, senza ammettere critiche, opposizioni, discussioni o ingerenze di alcun genere». Parole che si addicono a Mussolini, ovvero a colui che per vent’anni ha governato l’Italia con la violenza e la sopraffazione, fino al disastro della Seconda Guerra Mondiale al fianco della Germania di Adolf Hitler.Comunque, passando dalla tragedia di ieri alla farsa di oggi, guardando la composizione del consiglio comunale non possiamo non notare un dettaglio: delle forze politiche che avevano sostenuto Piunti nel 2016 ormai non v’è quasi più traccia. SiAmo San Benedetto – che aveva eletto quattro consiglieri – ormai conta su una sola consigliera comunale, mentre la Lega – che non aveva eletto nessuno e che aveva addirittura presentato un suo candidato sindaco, Massimiliano Castagna – ha quattro consiglieri comunali (di cui uno, Pasqualino Marzonetti, eletto col Pd e un altro, Marco Curzi, è stato assessore nell’ultima giunta Gaspari e poi era entrato in consiglio comunale con la lista di sinistra Rinnovamento e Progresso di Paolo Perazzoli). San Benedetto Protagonista, la lista del sindaco Piunti in persona, da cinque eletti è passata a due rappresentanti, gli altri sono confluiti in Forza Italia per un gioco di forze interno alla destra. Una confusione indegna e ridicola, segno di un progetto politico che non è mai esistito, non è sbocciato in quasi cinque anni di amministrazione e non nascerà di certo durante la campagna elettorale ormai alle porte.Meno male che manca poco alla fine di questo circo. E tanti cari saluti (ma non romani, anche se li apprezzerebbe) al nuovo caro assessore al Bilancio.

Miranda

Ragazz*, tornate. Abbiamo bisogno di voi! – di Valerio Carincola

Due anni fa quando ero uno studente universitario a Milano un pensiero mi attanagliava. Pensavo: è giusto che uno studente faccia le sue esperienze in un’altra città per arricchire desiderosamente il suo bagaglio personale ed esperienziale ma quando arriverà il momento di decidere di «tornare a casa» si chiederà inesorabilmente, «mi conviene?».
Nella maggior parte delle volte la risposta è no. Anch’io ero della stessa posizione, tuttavia decisi di tornare a San benedetto del Tronto consapevole di voler partecipare politicamente alla vita cittadina e conscio della disastrosa situazione socioculturale causata da un’amministrazione priva di animo e di idee. Al sol pensiero che la mia città si stesse spogliando della meglio gioventù non faceva altro che alimentare la voglia di chiudere con vemenza la valigia e tornare a San Benedetto.
Ovviamente vi risparmierò la filippica riguardo cosa abbia sbagliato la sinistra sambenedettese e vorrei focalizzarmi su cosa potremmo fare adesso. Per questo motivo ho trovato, fortunatamente, Miranda: un faro immerso in un porto delle nebbie, un laboratorio politico in grado di ascoltare, condividere idee e disagi di giovani e non solo, di una città completamente alla deriva. Una città la cui unica offerta è quella di proporti dei «freddi aperitivi» e alcol a buon prezzo annegando un’intera generazione di ragazzi a una intollerabile mancanza di curiosità verso il prossimo. Vorrei vedere la città ridente di una volta, una città che permetta di richiamare quei giovani san benedettesi «in trasferta».
Sì perché abbiamo bisogno di loro. Però, per far sì che avvenga questo ritorno, abbiamo bisogno di una città urbanisticamente, culturalmente e lavorativamente attrattiva: solo così potremmo lavorare per il bene comune e di ricostruire giorno dopo giorno il rilancio della città e del territorio.
Indubbiamente, a causa del Covid, stiamo attraversando uno dei periodi più difficili dal secondo dopo guerra in poi, nonostante ciò con Miranda, adattandoci ai mezzi informatici che ci consentono in qualche modo di vederci, non ci siamo mai fermati e stiamo continuando a studiare idee per il futuro di San Benedetto. Vorrei che questo messaggio sia da monito per quei giovani lavoratori, universitari indecisi di tornare e vi dico tornate: we want you.
Come nella Ginestra di Leopardi, di fronte alla perdita di ogni speranza e all’impossibilità di una prospettiva per il futuro, il fiore sparge il suo profumo.
È solo partecipando tutti insieme che possiamo cambiare questa città.

Valerio Carincola

Tirate una monetina – di Miranda

Alcuni semplici dati di fatto.
Uno: se il centrosinistra non si presenterà unito alle prossime comunali, la vittoria della destra è scontata. Quasi non varrebbe nemmeno la pena partecipare, impegnarsi per la campagna elettorale, perdere giornate e giornate all’inseguimento di un progetto che, di fatto, nasce già morto. Alzi la mano chi ha voglia di rovinarsi l’estate – perché la campagna elettorale si farà in quei mesi – per andare a perdere.
Due: credere che il centrodestra arriverà spaccato è una pia illusione. Sappiamo bene come sono fatti, quelli. Litigano a morte fino al momento in cui da Roma (o da Marte o da Salò) arriva l’ordine e tutti tornano in riga. È già successo nel 2016: fino a quando non è stato ufficiale, Piunti sembrava non dovesse essere candidato. Poi abbiamo visto com’è andata a finire.
Tre: a proposito del 2016, ci ricordiamo cosa è successo dalle parti del centrosinistra? La guerra fratricida ha prodotto solo macerie. Mettiamo da parte colpe, colpi di testa, antipatie personali, moti di rancore. Non portano a niente di buono. Lo sapete. Lo sappiamo.
Quattro: regalare per la seconda volta consecutiva la città alla destra sarebbe un crimine (politico) imperdonabile. Avete presente quando si dice «San Benedetto città accogliente, solidale, inclusiva, aperta»? Ecco, dopo dieci anni di cura da parte di Pasqualino & friends diventerebbe un lontano ricordo. Vogliamo abituarci a «San Benedetto città in crisi, depressa, senza idee»? Non sembra una buona idea.
Quinto: credere che si può andare tutti divisi con la convinzione che «tanto secondi ci arriviamo noi» e poi gli altri si aggregheranno al ballottaggio è una follia, roba da Shutter Island, completamente fuori dal mondo. Gli inglesi parlano di «whishful thinking», pensiero speranzoso. In Italia, la variante è «io speriamo che me la cavo». Davvero una cosa del genere si può definire strategia?
Qual è il problema di questo centrosinistra? Quali sono i motivi per cui non si riesce a trovare un accordo e dunque si dà per scontato che si andrà alle elezioni divisi in due, in tre o forse in quattro? A guardare bene non sembrerebbero esserci idee davvero in contrasto. Non è un problema di linea politica, come si diceva una volta. Non ci sono idee così tanto diverse sulla città che dovrà essere in futuro. La vera questione è legata al candidato sindaco. Tanti lo vogliono fare, ciascuno che la propria storia, le proprie motivazioni, i propri sostenitori. E ciascuno ritiene di essere il migliore, a scapito di tutti gli altri. Chi ha ragione? Chi ha torto? Risposta: nel primo caso, nessuno. Nel secondo, pure.
Facciamola semplice: tiriamo una monetina. Se esce testa lo fa uno, se esce croce lo fa un altro. Diciamo sul serio: lasciamo fare al caso.
Molto meglio quello che la condanna a una sconfitta certa.

Miranda