Ultima chiamata per San Benedetto – Miranda

Sono dieci mesi che, come Miranda – Laboratorio di politica e partecipazione, lavoriamo perché le forze progressiste, ambientaliste e antifasciste si uniscano in vista delle elezioni comunali. Il nome di Francesca Pulcini e l’ampia convergenza che sta raccogliendo tra le forze politiche di quest’area, visti anche gli ultimi sviluppi, lasciano ben sperare.
Il nostro auspicio è quindi quello di veder proseguire questo percorso e le forze politiche possano convergere sul nome di Francesca.
Ci rivolgiamo alle forze politiche con cui in questi mesi abbiamo dialogato, con l’onestà e la trasparenza di cui abbiamo sempre dato prova: «Tre passi avanti, uno indietro per umiltà», come cantava il poeta.
Noi, all’unità, ci abbiamo lavorato alacremente, assumendoci anche rischi e responsabilità che non erano nostre. Abbiamo anche pensato che non ce l’avremmo mai fatta, che questa unità fosse irraggiungibile. Nelle ultime due settimane abbiamo seguito il percorso della candidatura di Francesca Pulcini con rinnovata fiducia nel buonsenso delle forze politiche. Manca solo un ultimo sforzo: l’obiettivo è davvero a un passo. Francesca Pulcini andrebbe ben oltre il rappresentare l’unità: incarnerebbe quel rinnovamento che il popolo del centrosinistra invoca da anni. A beneficiarne sarà soprattutto San Benedetto: un fronte progressista, ambientalista e antifascista unito per sconfiggere la peggiore destra rappresentata da Pasqualino Piunti e dalla sua cricca.

Miranda – Laboratorio di politica e partecipazione

Ci vaccinate o no? – di Daniele Lanni

Ieri è stata la Festa della Repubblica, una giornata di grande importanza per il nostro Paese. La vittoria della nostra Democrazia contro la Monarchia. Una ricorrenza arricchita di un significato ulteriore, considerando che oggi in tutta Italia, come comunicato da una circolare del commissario Figliuolo, partono le prenotazioni per i vaccini per tutta la popolazione. La famosa ultima fase della campagna vaccinale che tutti stiamo aspettando con ansia.
Una bella giornata insomma, con una nota stonata: purtroppo nella Regione Marche così non è. Oggi ci siamo svegliati contenti, e abbiamo finalmente pensato che toccasse anche a noi prenotare finalmente il tanto atteso vaccino. Abbiamo atteso, giustamente e opportunamente, che le categorie più a rischio e le persone con più anni di noi si vaccinassero prima di noi, e ci mancherebbe. 
Ma oggi che toccava finalmente anche alla nostra generazione, gli under 40, il sito della Regione Marche continua a mantenere la schermata che ci informa che di noi se ne parlerà a luglio. Insomma, nulla di fatto. Non nelle Marche. Nel resto d’Italia, in ogni Regione con modalità diverse, il resto dei nostri coetanei di nord e sud stanno prenotando il proprio vaccino. Nella nostra regione chissà quando ci toccherà, non ci è dato sapere. 
E persino le persone under 40 con comorbidità hanno, con molti problemi tecnici, potuto iniziare a prenotarsi giusto qualche giorno fa, con settimane di ritardo rispetto al resto d’Italia. 
C’è da dire che non siamo stupiti, non sorprende più la scarsa considerazione che questa Regione ha delle fasce più giovani della popolazione, ma ingenuamente pensavamo che almeno sulla vaccinazione sarebbe andata diversamente. E invece…
Riusciranno a vaccinarci? Chi lo sa. Attendiamo ordinati e speranzosi. 

Daniele Lanni

Donna schiava, zitta e lava – di Valeria Cardarelli ed Elisa Gilormello

Maria Lina Vitturini è la nuova Presidentessa della Commissione Pari Opportunità.
Ha scelto, attraverso un post Instagram, di ringraziare tutte le persone che le hanno fatto gli auguri per la nuova carica fotografandosi non in un posto qualunque, ma nella cucina.
Perché? La didascalia del post recita: “La donna generalmente si occupa della casa e la famiglia, della cucina, dei lavori di cura in generale pensano ai figli e gli anziani, in più la maggior parte di loro lavora fuori casa, questo è il concetto di conciliazione casa lavoro”.
Aveva già suscitato reazioni di sdegno, la volontà di allargare il numero delle componenti della Commissione Pari Opportunità (CPO) facendo esplicito riferimento alla volontà di comporla principalmente di madri, donne con carichi famigliari o donne disabili.
CGIL, CISL e UIL Marche hanno contestato questa manovra “perché espressione di una cultura arcaica e patriarcale che vuole le donne relegate all’interno delle mura domestiche nel ruolo di madri amorevoli, angeli del focolare dedite alla cura di figli e familiari. Una proposta che nei fatti nega decenni di battaglie per la libertà, l’uguaglianza, i diritti e l’autonomia delle donne”.
La destra nella Regione Marche e in tutto il paese, sta portando avanti un piano coerente. Il contrasto all’IVG, la limitazione della RU486, i progetti che si vogliono finanziare per portare i privati pro-vita negli ospedali pubblici e nei consultori, sono tutte azioni che si connotano come passi propedeutici alla ricostruzione di un concetto di donna intesa come madre, angelo del focolare e succube dell’autorità patriarcale. Una donna incapace di prendere decisioni che riguardino la propria vita e il proprio corpo.
È vero, bisogna favorire e rendere più semplice per le madri essere madri e per i padri essere padri, ma no, – non ce ne voglia Tajani, che sottolinea come la donna “si realizza pienamente con la maternità”- la donna e la sua rilevanza sociale non si riducono unicamente al ruolo di genitrice.
Una famiglia è tale anche senza figlə.
Una donna è tale anche se di figlə non ne vuole, anche se non può averne e anche se non è etero o cisgender.
Una donna è molto più di etichette e imposizioni eteropatriarcali.
Vogliamo parlare di diritti e tutele reali alla riproduttività? Allora dobbiamo farlo parlando di tutti i corpi gestanti e di tutte le identità, perché queste per noi sono le Pari Opportunità.
La diversità è ricchezza” scrive Fumetti Brutti sull’illustrazione per la copertina de L’Espresso. Sì, vorremmo lo fosse anche per le Marche, la famosa “regione al plurale” che di plurale ormai non ha più niente, non con il potere depositato in mano alla peggiore delle destre!
Quelle destre che oltre a voler limitare i diritti di donne, persone non italiane e persone LGBTQIA+, fomentano un clima di odio inaccettabile, lo stesso odio che è causa delle shitstorm subite da Marte Manca – attivista di Non Una Di Meno Transterritoriale Marche – sotto agli articoli postati da la Repubblica e Cronache Maceratesi.
La sua colpa? Quella di portare all’attenzione le problematiche che si trovano ad affrontare gli uomini trans o le persone trans non binarie che hanno un utero e scelgono, in alcuni casi, di sospendere temporaneamente gli ormoni per avere figlə.
Mentre la destra pensa a riportare la donna etero cis al suo ruolo di fattrice, sono le stesse donne a non riconoscersi in questa immagine retrograda.
Per questo Miranda aderisce all’iniziativa di Liberə Tuttə che ha lanciato la campagna fotografica #ladonnasioccupa.
Per partecipare fatevi una foto con un cartello in mano che rilanci l’hashtag e che racconti di quanto la donna si occupa in realtà: di quello che deve, di quello che può, ma soprattutto di quello che vuole!

Valeria Cardarelli
Elisa Gilormello

La scuola ai tempi del Coronavirus – Rete degli Studenti Medi Robin Hood

In questi mesi la scuola è stata soggetta a continui cambiamenti a causa dell’emergenza sanitaria che ha messo a dura prova tutto il mondo e, qui nelle Marche, si è da poco tornati alla didattica in presenza al 50%.
Sono stati gli istituti d’istruzione superiore quelli che più di tutti hanno risentito di questa situazione, in un clima di incertezza che non ha mai permesso una continuità nel percorso didattico: è infatti da ottobre che si oscilla tra didattica in presenza e a distanza, condizione che  si protrarrà fino al termine dell’anno scolastico, visto l’andamento variabile dei contagi. 
Sul rientro in presenza si è molto discusso, tra chi propende per non tornare in classe e chi invece è contrario alla DaD. La questione, tuttavia, si articola in più aspetti e non può essere trattata superficialmente come spesso viene fatto, ma occorre considerare quale sia davvero la modalità migliore per una didattica sicura, che garantisca agli studenti diritto allo studio e salute. Queste ultime, che dovrebbero essere priorità, non sono state però trattate come tali: la scuola, sin dall’inizio della pandemia, è stata posta in secondo piano perché non direttamente utile alla crescita economica del Paese, lasciando indietro tantissimə studentə. Spesso la didattica a distanza è stata adottata come ripiego senza considerare invece un piano funzionale per un rientro in sicurezza. I risultati sono evidenti: dal notevole aumento dell’abbandono scolastico negli ultimi due anni ai disagi psicologici che gli studenti vivono quotidianamente.
La pandemia che da più di un anno a questa parte stiamo vivendo ha ridimensionato drasticamente i rapporti interpersonali di tuttə.
Noi, a San Benedetto come in tutta Italia, riducendo le occasioni di socialità che la scuola stessa forniva in presenza. La didattica a distanza favorisce la creazione di un clima teso dovuto a una generale diffidenza in primo luogo da parte dei docenti, che spesso degenera in episodi umilianti come le “interrogazioni da bendati”. Allo stesso tempo anche lə studentə, hanno maturato una sfiducia nei confronti dei docenti e nelle istituzioni stesse da cui non si sentono ascoltati, come dimostrato dai molteplici dati che dovrebbero farci riflettere sui rischi a cui lə studentə sono espostə.
Uno studio sui pronto soccorso pediatrici di Torino, Cagliari e di altri 21 ospedali in dieci Paesi diversi durante la prima ondata di Covid, pubblicato su «European Child and Adolescent Psychiatry», mostra ciò che è successo in tutto il mondo: gli accessi per atti di autolesionismo in marzo e aprile 2020 aumentano dal 50% al 57%, con un’incidenza in crescita degli «intenti suicidi» e dell’isolamento come fattore scatenante.
Sono numerosi infatti i problemi sorti con la didattica a distanza, tra questi l’aumento di tensione e stress e la sempre maggiore difficoltà di concentrazione. 
A questo generale clima di diffidenza, si aggiunge il fatto che l’apprendimento didattico è fortemente ostacolato: in mancanza di adeguati supporti e con rapporti tra studentə e professorə sempre più labili, chi ha maggiori difficoltà viene lasciato ancor più indietro. 
Questi sono solo alcuni tra i tanti esempi che si potrebbero fare per raccontare i disagi della DaD, che per tali motivi non può essere considerata al pari della didattica in presenza.  
Come Robin Hood crediamo che non sia possibile, a fronte di tutti questi problemi, sacrificare il diritto allo studio ripiegando su soluzioni sbrigative che addossano alle scuole la colpa delle nuove ondate di contagi, come recentemente smentito dalla Camera dei Deputati.
Occorre invece mettere l’istruzione al primo posto e investire su una scuola che garantisca a tuttə lə studentə un piano di apprendimento sicuro che non lasci indietro nessuno!

Rete degli Studenti Medi – Robin Hood

Grazie Fedez, bombardaci il Senato – di Valeria Cardarelli

La ricerca storica ci insegna come, nell’osservare una data situazione, risultino particolarmente dirimenti le valutazioni relative alle sue evoluzioni nel corso del tempo: come sono cambiate le cose negli anni? Quali passi avanti si sono fatti? Quali i momenti di stagnazione?

A tal proposito vorrei portare alla vostra attenzione due date che segnano, a loro modo, dei momenti topici di quella che è la realtà della lotta alle discriminazioni in Italia.

La prima: Il 2 maggio 2018 è stata presentata la proposta di Legge Zan contro l’omotransfobia.
La seconda: 30 marzo 2021, il Vescovo emerito di Ascoli Piceno Giovanni D’Ercole ha chiesto ai fedeli – per tramite di un post pubblicato sulla sua seguitissima pagina Facebook – di pregare “perché al nostro Paese sia risparmiata questa legge” che è a tutt’oggi bloccata in Senato senza notizie relative ad un’imminente calendarizzazione della discussione necessaria alla sua approvazione.

Ma concentriamoci per qualche minuto sull’autore del post.
Il Vescovo Emerito Govanni D’Ercole, è Emerito in quanto il 29 ottobre dello scorso anno ha comunicato alla sua diocesi di aver rinunciato alla carica ecclesiastica con l’obiettivo di concretizzare anzi tempo quella che da sempre ha considerato come il compimento ideale della sua missione apostolica, ovvero, recarsi in una missione in Marocco per portare avanti il suo apostolato a beneficio dei “più poveri tra i poveri”.

A sentirla così sembrerebbe di trovarsi di fronte a “Le vite dei Santi”, uno di quei VHS che chiunque abbia frequentato il catechismo negli anni ’90 conosce. E invece no. Al massimo possiamo paragonare le vicende del Nostro ad un episodio crossover di Boris e Padre Maronno.

Infatti, sebbene siamo certi di quanto il richiamo del fiume Ngube sia stato preponderante nella scelta compiuta dall’Emerito a cui appiopparono la santità, si delineano nel suo passato episodi che contribuiscono a gettare ombra sulla natura immacolata e disinteressata della sua scelta. D’Ercole vanta rapporti con personaggi come Alemanno e Raffaele Marra, con altri parroci dalla reputazione non propriamente intonsa (Alberto Bastoni, allontanato dalla chiesa per possesso di cocaina e materiale pedopornografico) e con santoni che trasudano olio extravergine d’oliva dalle mani. Durante il primo lockdown, quando a Bergamo le vittime del covid19 venivano portate fuori dalla città a bordo di mezzi militari e il panico per la nuova ed incontrollata pandemia dominava il paese, D’Ercole aveva opposto ferme critiche alle misure preventive che disponevano la chiusura delle chiese definendole “dittatoriali”. Un paragone fuori luogo se si pensa come una certa destra, che la fa da padrona nella nostra ridente provincia, alla nostalgia per la dittatura (quella vera) ha dedicato cene con menù a tema ad Acquasanta.

Tornato dunque dal soggiorno marocchino, durante il quale l’Emerito ha pregato per la salvezza delle nostre anime peccatrici – grazie, come se avessi accettato – D’Ercole ha ora deciso di dirottare le sue energie su una nuova crociata quella, appunto, contro l’improvvido e “liberticida” DDL Zan.

“Viandanti, siate lieti! Lo mondo non sarà per sempre intollerante. Di quassù veggo lontano et vi dico: tempo verrà che non vi saranno né schiavi né padroni, né guerre né ingiustizie e malattie, ma ovunque pace, lavoro et essere tutti liberi et uguali” sono parole messe in bocca da Monicelli all’impiccato nell’unica crociata che a noi abbia mai fatto un po’ di simpatia, quella di Brancaleone. Un vaticinio che, dal 1970 ad oggi, rimane purtroppo ancora tristemente irrealizzato. Dopo tutto non è un caso che a pronunciarlo fosse un pendaglio da forca.

Ma a mettere i bastoni tra le ruote alla Zan non è bastata certo l’azione isolata di un modesto, per quanto pervicace, Vescovo di provincia! Diamo a D’Ercole quel ch’è di D’Ercole e a Pillon – alla Lega, a Giorgia Meloni e agli omotrasfobicə tuttə – quello che gli spetta di diritto. Non è un caso che il Senatore si sia affrettato a rilanciare sui suoi social il post dell’Emerito supportandone e plaudendone ogni parola. Lo stesso Senatore che qualche giorno fa si vantava pubblicamente di quanto a partiti come Lega e FDI vada il merito di aver osteggiato l’ascesa al potere della “lobby gender”.

Punto principale attorno al quale si snodano le critiche mosse alla Legge Zan, dalle destre così come dagli ambienti ecclesiastici, è la presunta limitazione della libertà personale che ogni singolə cittadinə si troverebbe a dover affrontare. Ma, e qui cito testualmente dal testo della legge:

Art. 4. (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte)1. Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.

In soldoni questo significa che ognunə è legittimatə a mantenere le sue personali opinioni a condizione che le suddette non comportino la messa in atto di pratiche e comportamenti concretamente violenti o discriminatori. Hate speech e crimini d’odio ci piace pensare non fossero opinioni accettabili o legittime nemmeno in mancanza di una legge che ne penalizzi la pratica! Ma siamo forse troppo ottimistə.

In questo tentativo di debunking della strategia del terrore messa in campo da pillonianə e omotransfobicə con l’obiettivo di imbavagliare una legge che determinerebbe un ampliamento delle tutele di alcunə senza che questo determini nessuna (non potremo mai sottolinearlo abbastanza) perdita di diritti per altrə, è impossibile non citare l’ormai famigerato “complotto gender”! Pare che educare al rispetto dell’altrə e all’equità sia una minaccia paragonabile all’atomica e, in questa particolare versione della guerra fredda, le armi con cui l’opinione pubblica filo Zan sta rispondendo sono quelle dei grandi numeri che celebrità ed influencer di varia sorta sono in grado di muovere grazie alle reti social.

A tirare la prima pietra ci ha pensato Fedez. Tutto è partito da una serie di storie Instagram, in cui il rapper ha chiamato direttamente in causa il Senatore Pillon rassicurandolo in merito alla sua totale serenità di fronte a quello che considera il sacrosanto diritto all’autodeterminazione del figlio Leone. Hanno fatto eco a Fedez le voci di moltə altrə tra cantantə e membrə dello spettacolo, come ad esempio: Elodie, Levante, Paola Turci, Costantino della Gherardesca, Mahmood, Alessandro Gassmann, Francesca Michielin, Chiara Ferragni, Lo Stato Sociale, Nicola Piovani, Piero Pelù. C’è poi Diego Passioni, storico presentatore di Radio DJ, che ha parlato della legge Zan in una live alla quale hanno partecipato Fabio Canino e lo stesso Alessandro Zan, che ritroviamo in un’ulteriore live Instagram – stavolta di nuovo con Fedez – visualizzata in poche ore da oltre 700.000 utenti.

“Il rispetto verso le differenze è un valore, non un problema, quando rispetteremo le persone a prescindere dalle condizioni personali sarà una società più giusta. Educare che blu è maschio e rosa è femmina, che l’uomo non può piangere e la donna sì, sono concetti anticamera della violenza da adulti. È un paese civile quello in cui due persone non possano girare mano nella mano perché rischiano un’aggressione?”

ha domandato il deputato Zan durante la live, ricordando l’aggressione subita pochi giorni fa dall’attivista Jean Pierre Moreno a Valle Aurelia.
Assieme al mondo dello spettacolo, sono tantissimə i collettivi, i gruppi, artistə, attivistə e divulgatorə, che nel corso delle ultime ore stanno dando il via a campagne di sensibilizzazione e informazione, che chiedono a gran voce la calendarizzazione urgente della Legge Zan, contro la retorica imperante del benaltrismo: perché se la pandemia è l’emergenza di oggi l’omotransfobia è l’emergenza di sempre e la prima non ha fatto che aggravare le manifestazioni e gli effetti della seconda.

Vi segnaliamo quindi la petizione del Comitato Da’ voce al rispetto che è possibile firmare al link seguente:
https://action.allout.org/it/m/145febbd/?_ga=2.66776489.68032851.1617426395-1092063609.1616432611
ma anche le azioni di mail-bombing al Senato lanciate dal Toilet Club di Milano (seguite il link per le istruzioni su come partecipare: https://www.toiboy.it/toiletclub/sileggezan/ ).
Insomma, per parafrasare gli Offlaga: “grazie Fedez, bombardaci il Senato”

Valeria Cardarelli

Nascite al minimo, decessi al massimo. Le Marche stanno scomparendo

Minimo storico nelle nascite e record di decessi nel 2020 con la pandemia che ha fortemente peggiorato una dinamica demografica già molto preoccupante tanto che al 31 dicembre la popolazione residente nelle Marche è inferiore di quasi 17 mila abitanti rispetto all’inizio dell’anno: come se fosse sparita una città grande come S. Elpidio a Mare o Grottammare. E’ quanto emerge dai dati dell’ISTAT elaborati dall’IRES CGIL Marche.
Ancora più pesante il bilancio demografico rispetto al 2010 con 40 mila abitanti in meno, mentre in 10 anni hanno lasciato la regione per l’estero 43 mila persone, equivalenti ai cittadini di una città come Senigallia o Civitanova Marche. Un numero impressionante soprattutto se si considera che tra di loro ci sono tantissimi giovani in cerca di migliori prospettive di lavoro e di vita.


Preoccupa soprattutto la denatalità che peggiora a ritmi insostenibili: nel 2020 nelle Marche sono nati solo 9.429 bambini: record minimo storico. Rispetto all’anno precedente sono nati 241 bambini in meno (-2,5%) mentre sono addirittura 4.656 i nati in meno rispetto a 10 anni fa (-33,1%). Il calo delle nascite è un fenomeno nazionale che peraltro ha assunto un carattere strutturale, ma il trend registrato nelle Marche è più grave e preoccupante.
Prosegue anche la tendenza alla diminuzione della fecondità: nel 2019 il numero medio di figli per donna nelle Marche è sceso a 1,19 (1,27 la media nazionale). Valori particolarmente preoccupanti se si considera che una popolazione, senza movimenti migratori, per rimanere costante nel tempo dovrebbe avere mediamente 2,2 figli per coppia.
Contestualmente, nel 2020, i decessi nelle Marche sono stati 20.123, ovvero 2.681 in più rispetto al 2019 (pari a +15,4%, di poco inferiore all’incremento medio nazionale di +17,6%) che evidenziano gli effetti drammatici prodotti dall’epidemia Covid-19, pagati soprattutto dalle persone più anziane e fragili. Inoltre, per la prima volta i decessi sono più del doppio delle nascite.


Secondo Daniela Barbaresi, Segretaria Generale della CGIL Marche, «è urgente  affrontare il tema della denatalità con misure strutturali a sostegno della maternità e paternità, a partire da un’adeguata rete di servizi per l’infanzia, che nelle Marche, oltre ad essere complessivamente troppo onerosa per le famiglie, è assolutamente insufficiente, visto che solo a un bambino su quattro viene garantito un posto all’asilo nido».


«Occorre poi garantire adeguate prospettive di lavoro e reddito; lavoro stabile con la giusta retribuzione per consentire soprattutto ai più giovani di formare una famiglia e decidere di avere dei figli. Va ricordato che da luglio sarà operativo l’Assegno unico e universale per i figli, introdotto con la Legge di Bilancio 2021, per riordinare le misure a sostegno della genitorialità e che sostituirà assegno al nucleo familiare, detrazioni per figli a carico, assegno natalità, bonus bebè, bonus mamma e altre misure. Per conoscerne nel dettaglio le modalità di erogazione bisognerà aspettare i prossimi decreti attuativi».
«Sono altrettanto necessarie e urgenti misure a sostegno di una popolazione sempre più anziana e fragile, a partire da interventi per la non autosufficienza. Urgente poi completare rapidamente le vaccinazioni delle persone più anziane e fragili».

Ecobonus, l’occasione sprecata dal Comune di San Benedetto – di Maurizio Di Cosmo

Con l’incentivo del 110% di rimborsi fiscali da parte dello Stato, molti sambenedettesi hanno presentato le pratiche regolarizzative necessarie per l’avvio dei lavori di efficientamento energetico delle proprie abitazioni decisamente vantaggioso.
L’occasione dell’Ecobonus è ghiotta, per i singoli e per la comunità. Essa consentirà una necessaria ristrutturazione e riqualificazione di gran parte dello scadente patrimonio edilizio cittadino.
Determinerà grandi risparmi energetici per le famiglie e ridurrà il costo della bolletta energetica nazionale con evidenti benefici nella riduzione delle emissioni nocive in atmosfera e quindi, dell’inquinamento ambientale.Permetterà anche un miglioramento “estetico” degli edifici consentendo un complessivo beneficio architettonico per la città. Molti, cogliendo l’occasione, approfitteranno per realizzare altri interventi migliorativi, compreso il rinnovo dei mobili.  
Altro fattore importante che caratterizza l’Ecobonus sta nel rilancio del settore edilizio; settore, che com’è noto, è trainante per l’intera economia. Ad oggi, molti proprietari e condomini hanno difficoltà nella ricerca di imprese edili cui affidare l’incarico dei lavori perché le stesse imprese, decimate dalla grave crisi che perdura dal 2008, sono poche e quasi tutte già impegnate almeno per tutto il 2021 e parte del 2022. L’attuale domanda è soverchiante rispetto all’offerta di lavoro. Va da sé che l’annullamento delle 6 varianti edilizie destinate ad occupare le rimanenti aree libere di San Benedetto non avrebbe alcuna conseguenza negativa sui carichi di lavoro delle imprese e sui livelli occupazionali del settore.Questa occasione di “Rilancio” impone alle imprese – che tardano a puntare sulla qualità del lavoro,su  nuove professionalità e sull’abbandono di una competitività al ribasso condita in diversi casi da lavoro nero, sommerso, dequalificato e pericoloso (scarsa tutela della sicurezza) – un cambiamento di paradigma.E’ necessario per esse assumere una mentalità di alleanza (consorzi); capire che oltre al mercato esiste la responsabilità sociale dell’impresa; smettere di puntare tutto sulle nuove costruzioni che consumano suolo e, specializzarsi sulle ristrutturazioni/riqualificazioni e, in prospettiva, anche sulla rigenerazione urbana. Questa necessità è imposta anche dalle nuove scelte politiche dell’Europa e del Paese, incentrate sulla transizione ecologica e sull’innovazione tecnologica che inesorabilmente evocano e richiedono una nuova politica urbanistica all’insegna della tutela del suolo, del paesaggio e dell’atmosfera. Tutto ciò e molto condivisibile perché il fine ultimo sta nella difesa dell’ambiente e nella qualità della vita per tutti noi.Al netto dell’eccesso di burocrazia patologica, queste considerazioni dovrebbero essere presenti nelle scelte dell’Amministrazione di San Benedetto come nel resto dei comuni del Paese.Purtroppo, a tutt’oggi, ne riscontriamo l’assenza! Anzi, l’Amministrazione comunale invece di facilitare, favorire e coordinare l’Ecobonus, realizzando in primis uno sportello dedicato per i cittadini, ne sta ostacolando l’adozione, negando agli stessi qualsiasi servizio informativo e di sostegno e addirittura, bloccando o ritardando l’iter delle numerose pratiche (450 o 1200?) giacenti presso l’ufficio Urbanistico.  Un’Amministrazione avveduta coglierebbe questa occasione! Da un lato la positività di ciò sta proprio nel recupero della “bellezza del paesaggio urbano” decisivo per la vocazione turistica della ns. città. Dal lato della responsabilità politica, il Comune dovrebbe verificare, anche con le poche risorse disponibili, quali integrazioni potrebbe offrire alle ristrutturazioni private inerenti al singolo edificio (ad esempio: nuovi servizi, progettare con ENEL, TIM, CIIP e Società del Gas l’interramento dei cavi e la sistemazione della rete delle tubazioni, ecc.) o un intero isolato/quartiere, prevedendo e programmando una generale riqualificazione. E’ vero che oggi queste ultime non sono alla portata delle risorse comunali disponibili; tuttavia, anche riconoscendo la necessità di una riforma delle modalità di finanziamento dei comuni (da 50 anni purtroppo spinte a rilasciare concessioni edilizie e vendere suolo libero) va considerato che il Recovery Fund e la nuova programmazione dei Fondi Strutturali europei renderanno disponibili capitali pubblici all’altezza del compito che proponiamo, soprattutto per la riqualificazione urbana.Un’altra considerazione riguarda la gran parte delle case/palazzine di San Benedetto che è stata costruita negli anni ’60 e ’70, quando normative edilizie e controlli erano fumosi e le piccole variazioni interne agli appartamenti rispetto alle piante originali si facevano alla rinfusa. Oggi, sanare in comune quelle piccole difformità, che riguardano anche i condomini, ha subito un forte rincaro: da circa 500 a 1500 euro. L’Amministrazione, oltre a sveltire le pratiche giacenti, dovrebbe emanare misure per rendere meno oneroso sanare le piccole difformità edilizie, in virtù della presenza di una storica corresponsabilità amministrativo-politica condivisa con i piccoli proprietari dei vecchi edifici che oggettivamente, richiedono di essere ristrutturati e riqualificati.In conclusione, l’Ecobonus è da considerare come un elemento di un processo di profondo e più ampio cambiamento dell’intervento urbanistico – edilizio incentrato sulla ristrutturazione/riqualificazione/rigenerazione. Esso è parte di una politica Europea e nazionale (PNRR) che cambia il paradigma delle politiche, incentrandolo sulla tutela ambientale, sull’abbattimento del consumo delle risorse limitate (come il suolo, ecc.), su necessari nuovi stili di vita non più votati al consumo, ma alla cura.Il futuro sta qui, in nuovo modello di sviluppo sociale, ambientale, economico sostenibile. L’Amministrazione comunale e il sistema delle imprese se ne sono accorti?

Maurizio Di Cosmo
(Comitato Fermiamo il consumo di suolo)

Perché è arrivato il momento di metterci la faccia – di Francesca Huda, Marco Giobbi, Iacopo Zappasodi

Nei mesi scorsi, insieme ad altre compagne e altri compagni, abbiamo cominciato un percorso di partecipazione alla vita politica del nostro territorio: Miranda.
Un laboratorio di partecipazione e politica, abbiamo detto, per noi un modo nuovo di stare insieme e di confrontarsi, senza casacche, liberә da schieramenti precostituiti e da preconcetti reciproci. Stiamo affrontando questo percorso con spirito libero, da giovani donne e uomini liberә e di sinistra. Miranda è questo, uno spazio dove confrontarsi e maturare idee fuori dagli schemi, «una forma originale della politica».
Nei giorni passati proprio in un’assemblea di Miranda è uscita fortissima la necessità di imprimere una svolta a quello che accade in questa città e nel nostro territorio, ed è uscita la necessità di metterci la faccia sul serio. Dal primo giorno abbiamo sempre riconosciuto il ruolo dell’impegno politico e sociale, nelle associazioni, nei sindacati, nei movimenti, e nei partiti. Moltә compagnә di strada militano in qualche partito, nelle associazioni, nei sindacati, altrә lo hanno fatto e sono rimastә scottatә, altrә ancora non lo hanno fatto mai. Ma a tutte e tutti si è rivolta quell’assemblea e ha chiesto alla nostra generazione di caricarsi la propria fetta di responsabilità e fare qualcosa.
E insomma, eccoci qua.
Abbiamo scelto di portare la nostra parte di contributo dentro il Partito Democratico. Lo facciamo consapevoli delle difficoltà che questo schieramento vive, anche nella nostra città, ma un po’ rincuorati dalla visione che il nuovo segretario nazionale, Enrico Letta, ha espresso. Non è il cambio di segreteria di per sé ad averci fatto maturare questa scelta, ma la consapevolezza, che vediamo sempre più crescente, che serva un «nuovo Pd». Noi vogliamo proprio questo: un partito rinnovato e capace di incidere nella società. Un Partito Democratico che sia fuori ai cancelli delle fabbriche con le lavoratrici e i lavoratori, che appoggi le battaglie delle studentesse e degli studenti per i propri diritti, che sia un partito di lotta e di governo, non solo una centrale di potere, come si sarebbe detto in un tempo che non abbiamo mai vissuto. Vogliamo un partito nuovo, che si apra alle nuove generazioni, capace di rinnovare le proprie idee, di unire tutta la sinistra e il centrosinistra, di dialogare con il sindacato, con le associazioni che popolano il territorio, di essere la voce delle e degli esclusә di questo paese.
Vogliamo farlo offrendo il punto di vista della nostra generazione, delle esperienze e delle posizioni che abbiamo maturato duranto le nostre esperienze. Vogliamo farlo, rilanciando un’iniziativa forte sul territorio su temi come il voto per le e i 16enni, lo Ius Soli, la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, il lavoro, che è un concetto ormai da ridiscutere a partire dalle sue fondamenta.
Sappiamo che per tutto questo serve un «partito nuovo», in grado di esprimere le proprie politiche in maniera libera, in grado di dotarsi di una struttura forte e solida, in grado di innovare la propria classe dirigente in continuazione.
Anche San Benedetto ha bisogno di un Pd nuovo, un Pd a disposizione della collettività del centrosinistra di questa città, un Pd che difenda i valori dell’antifascismo e che denunci il parentifico dell’attuale amministrazione, un Pd anche in grado di immaginare una città nuova, una mobilità sostenibile. E, soprattutto, un Pd capace di dire tutte queste cose con chiarezza. Noi vogliamo dare il nostro contributo. Lo vogliamo fare senza però mai rinunciare alle parole che ci hanno rimesso in moto, prima con la candidatura di Valeria Cardarelli, poi dentro Miranda: unità (della sinistra), e rinnovamento (delle idee e dei volti). Continueremo a spenderci per le nostre idee anche in questa nuova avventura.

Francesca Huda
Marco Giobbi
Iacopo Zappasodi

Come (e perché) fermare il consumo del suolo – di Amilcare Caselli

Questa storia inizia nel gennaio del 2020, quando il parco di una villa venne completamente raso al suolo dalle ruspe. Più di cento alberi protetti, un ecosistema di 2500 metri quadri; nessuno immaginava si potesse distruggere un parco così, anche se privato, nei pressi del lungomare, che era lì da più di cinquant’anni.

Feci delle proteste, interviste e articoli, poi mi procurai di accedere agli atti: il parco era stato espiantato per far posto a tantissimi posti auto e garage sotterranei di una grande palazzina di 5 piani. Dichiaravano di aver censito solo 27 pini con la promessa di ripiantarne il doppio ma non c’era nessun progetto di ripiantumazione; nei progetti non c’era un metro quadro di terreno che non fosse cemento o asfalto e le incongruenze non finivano lì. Mandai gli esposti fino alla Procura della Repubblica, ma il cantiere prosegue spedito ancora oggi, il solo risultato che ebbi furono due diffide da parte del costruttore.

Ma non è questo ciò di cui voglio parlare, ci saranno altri scenari per farlo.

Interpellai chi potesse denunciare le mille storture del caso: consiglieri comunali, assessori, giornalisti, associazioni e chi in passato aveva condotto battaglie cittadine ambientaliste, pregandoli di far fronte comune, non tanto per il caso in sé, che pure è macroscopico, ma per denunciare un modus operandi che poteva ripetersi e che forse esisteva da tempo. 

Mi dissero che si stava costituendo un comitato per impedire l’attuazione di sei varianti al piano regolatore sulle uniche aree rimaste naturali in città. Ci riunimmo all’inizio dell’estate intorno a una mozione da presentare a Viale De Gasperi con la richiesta di fermare ogni ulteriore consumo di suolo promuovendo invece il riutilizzo delle zone dismesse. Così fui eletto a portavoce del Coordinamento “fermiamo il consumo di suolo, rigeneriamo la città”. 

Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata, e non intendo delle vicissitudini della mozione o di altre nostre iniziative, e nemmeno della triste realtà di San Benedetto, di cui ci sarebbe tanto da dire, delle varie giunte succedutesi fino ad oggi che hanno svenduto il territorio per fare cassa, col risultato di avere oggi migliaia di appartamenti sfitti, seconde case, e una previsione residenziale che non serve a chi è demograficamente fermo da quindici anni. C’è da cambiare quindi il vecchio paradigma delle campagne elettorali sponsorizzate dai soliti speculatori edilizi. E tutto questo in un quadro ancora più complesso di cui spero potrò tornare a scriverne meglio. 

Sapevo che non sarebbe stato facile dicevo perché so che quando ci sono tante teste, anche intorno a un solo oggetto che sembra chiaro, ci sono altrettanti punti di vista. 

Vado al punto, si tratta del Coordinamento stesso: c’è chi ci vede come troppo politicizzati e chi, al contrario, vorrebbe da noi una lotta più “politica”, cioè stretta sugli attori dei partiti e delle liste; attori adesso più che mai in scena visto che siamo in campagna elettorale. 

Potrei cavarmela dicendo che queste critiche, che sono anche interne al Coordinamento stesso, visto che sono diametralmente opposte, non facciano altro che dirci che siamo nella giusta direzione. 

Personalmente penso che un comitato come il nostro debba sicuramente agire puntualmente e rispondere a ogni dichiarazione, perché significa stare coi piedi per terra, sul pezzo, e tastare quotidianamente il polso a chi si candida per amministrare la città, certo, ma contemporaneamente, e in maniera non meno importante, credo che lo stesso comitato abbia il dovere di fare informazione, creare consenso, e sensibilizzare la cittadinanza anche con azioni a lungo raggio, che non si cristallizzino nella contingenza elettorale ma siano un work in progress; il lavoro da fare quindi è tanto, e lungo. 

Credo insomma che un comitato che operi tra queste due “anime di lavoro” possa offrire una risultante ultrapolitica, abbia cioè una valenza che superi, vada oltre e quindi comprenda la strategia dei partiti o delle liste comunali alle elezioni. 

Detto questo però, che non si confonda il lavoro, lo scopo di un comitato cittadino con la politica: sarebbe un errore gravissimo.

Ma purtroppo, riportando il particolare all’universale, questo credo sia il problema politico di fondo di questo nuovo millennio, in cui ci sono sempre più partiti “di scopo”, cioè con un oggetto particolare già nel nome, come a precisare una missione, che sia l’Europa, la Patria, o un’istanza ecologista… oppure si preferisce definirsi movimenti, quasi si avesse timore di dichiararsi “partito”; e quindi, di conseguenza, i partiti di scissione, di contrapposizione personalistica, di mera strategia. Nessuna accusa, beninteso, ma questa tendenza che ha segnato la fine del partito classico novecentesco, e che sicuramente è una delle cause della frammentazione della sinistra storica in tanti rivoli non ben identificati, ha la sua radice, molto semplicemente, nella recente morte dell’ideologia. 

Ideologia è diventata una parola che fa paura; ideologico detto di qualcuno è ormai un’offesa, e la causa della morte dell’ideologia sta nella ultratrentennale accettazione supina che il sistema economico abbia per sempre soppiantato il sistema politico, col beneplacito implicito o esplicito di tutti.

Che una giusta pretesa ecologista quindi abbia diritto di cittadinanza politica questo è sicuro, ma è uno sbaglio confonderla con l’ideologia: ideologia è una visione più ampia e complessa del mondo: è una visione filosofica del mondo, e le necessarie particolari istanze dovrebbero invece esserne i punti di discussione, le occasioni dialettiche. 

Ecco allora, un comitato cittadino fa sì “una certa” azione politica ma non potrà mai fare Politica, e non a caso uso la lettera grande, perché questa è materia filosofica che arriva fin nelle sezioni di partito, che purtroppo non esistono più, proprio perché non esiste più quella materia di cui sopra. Allora sta a noi essere coscienti di queste mancanze e cercare di ripartire almeno dalla dialettica inclusiva per ricreare dei veri soggetti politici. 

Un comitato cittadino quindi, oltre alle lotte sul territorio dovrebbe stimolare la dialettica, ma oltre il suo operato e l’operato di ognuno, più in alto, dovrebbe tornare ad esserci idealmente una visione del mondo, che oggi manca in tanti, troppi di noi, e che solo un ritorno alla vera Politica ci potrà dare.

Amilcare Caselli

Il tempo della nostra responsabilità, per unire e rinnovare il centrosinistra – di Miranda

Ci sarebbe piaciuto trovarci ad analizzare una situazione completamente diversa. Ci sarebbe piaciuto poter aderire con convinzione ad un progetto di rilancio di San Benedetto, nella direzione dei valori che condividiamo e promuoviamo: antifascismo, solidarietà, ambientalismo, difesa dei diritti delle e dei più deboli, inclusione.

Invece, nonostante siamo certi che quei valori possano essere maggioritari non solo nel cuore e nella testa di chi ci legge, ma soprattutto nella stragrande maggioranza delle e dei sambenedettesi, ancora oggi vediamo la classe politica che ha guidato in vari modi e declinazioni il centrosinistra di questa città, impantanata in una discussione fatta di nomi, veti e contro-veti, difficoltà di comunicazione reciproca, mancanza di visione di lungo periodo. Il sentimento che questo dibattito trasmette è principalmente quello della confusione, e in seconda battuta dello sconforto.

Non ci sembra affatto utile alla causa che ci muove, quella del rinnovamento e dell’unità, entrare in questa contesa a gamba tesa, aggiungendo una voce al coro delle e degli scontenti. Per cui, nel corso della nostra Assemblea, abbiamo portato avanti con spirito costruttivo la nostra discussione, nell’ottica dell’unità.

Vorremo dire comunque senza mezzi termini ciò che pensiamo: è il momento della responsabilità di tuttə. Non veniamo giù dalla montagna del sapone e capiamo le legittime aspirazioni di ognunə, capiamo le divisioni politiche (meno quelle personali), capiamo le differenti visioni e i posizionamenti di ognunə, ma non c’è più tempo. Niente di tutto ciò è sufficiente o in grado di giustificare una eventuale divisione di questo campo politico. Non questa volta, non in questo momento storico.

La destra che ha governato questa città negli ultimi 5 anni ha dimostrato perfettamente i propri interessi personali, le proprie incapacità, e peggio di tutto la propria natura di destra pericolosa e avversa alle e ai più deboli. E, nonostante proclami di divisioni e le tattiche di qualcuno, state certi che rimarrà unita, e si presenterà unita per tenere il potere su questa città e continuare la propria opera di cambiamento (negativo in questo caso) culturale della città, disinnescando tutto il tessuto fatto di solidarietà costruito in anni, e combattendo gli anticorpi naturali che questa città ha sempre avuto ai fascismi.

La situazione è drammatica. Questa città li ha sempre avuti quegli anticorpi, ma non si può dare per scontato che finita quella che consideriamo una parentesi di destra, tutto torni alla normalità. Non sarà così, questa città non può permettersi altri 5 anni come gli ultimi . Il rischio è che la destra costruisca una rete di potere e clientele nella città solida, come accade da decenni ovunque riescano a mettere mano, e che riesca a cambiare la cultura di questa città per sempre. Abbiamo paura di tale prospettiva.

Per queste ragioni non possiamo tollerare la divisione. Per responsabilità di chi o cosa, o per quale motivo valido o meno, non ci interessa. Bisogna mettersi la mano sulla coscienza (politica e non) che ognuno delle e dei protagonistə politici sappiamo avere, e dare una risposta a questi interrogativi che la nostra generazione pone legittimamente, costruendo da subito una coalizione antifascista e progressista larghissima, perché il futuro di questa città si deciderà oggi. E la nostra scelta è quella di prenderci la nostra parte di responsabilità collettiva impegnando il nostro Laboratorio da subito per provare a mettere insieme questa prospettiva.

Ma questo non basta, perché sappiamo che se da una parte al mondo della politica tutto chiederemo di trovare le soluzioni e chiediamo responsabilità, dall’altra parte a tutte le giovani e i giovani che hanno animato il nostro percorso sin qui chiediamo di prenderci anche noi una parte di responsabilità, ognuno nella propria sensibilità, e fare uno sforzo di presa in carico della situazione: mossi dalla volontà di unità, mossi dai valori costitutivi della sinistra sincera e rinnovata che ci piace e che immaginiamo, chiediamo a tuttə di entrare nella politica sambenedettese senza chiedere il permesso, spendendoci tuttə quantə insieme, ovunque e in qualsiasi progetto, partitico, associativo, sindacale, o ciò che ritenete, senza attendere oltre e per perseguire l’unico obiettivo che a tutti noi interessa: rinnovare la politica di questa città, cambiarla profondamente, ricostruire le reti della solidarietà e vincere le elezioni per cacciare questa destra proto-fascista che sta costruendo un futuro buio per tutti noi.

I tempi per l’impegno sono maturi, chiediamo responsabilità, intanto prendiamoci la nostra parte di impegno.

L’unità è l’unica soluzione, pratichiamola. Insieme, e a tutti i costi.

Le ragazze e i ragazzi di Miranda