Super Lega in fuorigioco

Nelle coppe europee prevale l’imponderabile. Dobbiamo trasformarle in un campionato continentale, con certezze gestionali ed economiche per le società. Andremmo a giocare sempre a Madrid, Barcellona e Lisbona, non in qualche paesino sperduto di provincia
Analizziamo il virgolettato.
Si parte dall’ “imponderabile”. L’imponderabile stuzzica un desiderio tra i più irrefrenabili del genere umano: la curiosità. Di fronte all’imponderabile, lo scienziato si pone l’obiettivo di scoprire, conoscere e mettere le nuove nozioni a disposizione dell’umanità intera. È quanto i ricercatori di tutto il mondo hanno fatto e continuano a fare di fronte all’imponderabilità della pandemia da Coronavirus. 
L’uomo economico non dispone degli strumenti dell’uomo di scienza, ma sa che qualsiasi cosa generi un desiderio può diventare un prodotto da commercializzare. Seguendo il suo schema, l’attrazione per l’imponderabilità va normalizzata e messa a disposizione della clientela già esistente e potenziale, attraverso una promozione di immediata comprensione. In questo caso, le Coppe vanno “trasformate” al fine di generare “certezze gestionali ed economiche”: il salto nell’imponderabilità, altro non è che un’occasione da cogliere.
La frase conclusiva è il veicolo promozionale che mette a confronto le capitali del calcio “Madrid, Barcellona e Lisbona” con il “paesino di provincia”. Un campionato composto esclusivamente da super-partite, un lusso fruibile da tutti previo pagamento di un canone TV, messo a paragone con le trasferte faticose, fangose e tetre come la vita di tutti i giorni. 
Silvio Berlusconi pronunciò la frase analizzata finora nel contesto ideale, durante la festa per il suo Milan che aveva appena conquistato il campionato. Era il 17 maggio 1988 e Berlusconi era stato il primo ad evocare la creazione di una Super Lega.
Quanto successo a partire dalla notte di domenica 17 aprile e per le successive 48 ore, dunque, altro non è che la naturale prosecuzione di una traiettoria che ha avuto origine, come visto, in tempi non recenti. Accelerata e catalizzata da una crisi pandemica che ha aggiunto lacrime e sangue a bilanci societari non immacolati, grazie a gestioni manageriali oltre lo spericolato. La proposta di una Super Lega chiusa, elitaria e a inviti, però, non avrebbe solo introdotto una nuova competizione, né semplicemente decretato il declino di un’altra. Piuttosto avrebbe causato la modificazione genetica di uno sport sottoposto già da anni a logiche finanziarie e imprenditoriali ben lontane dallo spirito sportivo. Vien da chiedersi allora quale possa essere il futuro del calcio se si comprende, com’è probabile, che il progetto Super Lega sia solo rimandato ma non archiviato. Una strutturale virata verso lo show-business di matrice USA (che ne dimentica i correttivi) tesa a trasformare i tifosi in clienti, a volgere lo sguardo verso ricchi mercati esotici nascondendosi dietro il paravento delle nuove generazioni, poco attente al calcio come narrativa vorrebbe. Ma se questo disinteresse esiste, come rilevano i sondaggi, forse le responsabilità vanno anche cercate oltre i format. In un modello di sviluppo e di ripartizione di risorse che da vent’anni a questa parte insegue l’incremento degli introiti dimenticando di calmierare i costi, aumentando la forbice tra grandi club e medio-piccoli, con poche multinazionali applicate al pallone che fagocitano tutto. Segno dei tempi, si dirà, peccato che la svolta aziendale non sia accompagnata da un’adeguata gestione manageriale, producendo conti che avrebbero costretto qualsiasi altra impresa a portare i libri in tribunale da tempo. Senza dimenticare poi le ricadute di questi costi sui tifosi, in special modo i più giovani, globalmente sempre più poveri e precari e tenuti lontani dal calcio anche a causa di costi ormai fuori portata tra stadio e abbonamenti tv vari. 
Ciò che lascia questa brutta storia di goffi colpi di mano tentati nel giro di una notte è il senso di un’occasione persa e una leziona mancata. Che la pandemia potesse rappresentare il detonatore di un cambiamento strutturale orientato verso la sostenibilità anziché l’incremento di una bolla. E invece il senso della tentata Super Lega ci parla solo della disperazione di pochi club che annegano tra i debiti senza sapere come uscirne se non proponendo competizioni di plastica. Tutto l’opposto di quello che si dovrebbe fare, mentre chi fino ad oggi è stato complice di questa deriva, ovvero le istituzioni sportive, può ipocritamente ergersi a paladino della purezza del gioco. Un ossimoro edificato dall’ingordigia di pochi, forse in linea con i tempi, chissà col futuro.
Tutto molto attuale, tutto molto triste. 

Paolo Piunti
Luca Cinciripini

La scuola ai tempi del Coronavirus – Rete degli Studenti Medi Robin Hood

In questi mesi la scuola è stata soggetta a continui cambiamenti a causa dell’emergenza sanitaria che ha messo a dura prova tutto il mondo e, qui nelle Marche, si è da poco tornati alla didattica in presenza al 50%.
Sono stati gli istituti d’istruzione superiore quelli che più di tutti hanno risentito di questa situazione, in un clima di incertezza che non ha mai permesso una continuità nel percorso didattico: è infatti da ottobre che si oscilla tra didattica in presenza e a distanza, condizione che  si protrarrà fino al termine dell’anno scolastico, visto l’andamento variabile dei contagi. 
Sul rientro in presenza si è molto discusso, tra chi propende per non tornare in classe e chi invece è contrario alla DaD. La questione, tuttavia, si articola in più aspetti e non può essere trattata superficialmente come spesso viene fatto, ma occorre considerare quale sia davvero la modalità migliore per una didattica sicura, che garantisca agli studenti diritto allo studio e salute. Queste ultime, che dovrebbero essere priorità, non sono state però trattate come tali: la scuola, sin dall’inizio della pandemia, è stata posta in secondo piano perché non direttamente utile alla crescita economica del Paese, lasciando indietro tantissimə studentə. Spesso la didattica a distanza è stata adottata come ripiego senza considerare invece un piano funzionale per un rientro in sicurezza. I risultati sono evidenti: dal notevole aumento dell’abbandono scolastico negli ultimi due anni ai disagi psicologici che gli studenti vivono quotidianamente.
La pandemia che da più di un anno a questa parte stiamo vivendo ha ridimensionato drasticamente i rapporti interpersonali di tuttə.
Noi, a San Benedetto come in tutta Italia, riducendo le occasioni di socialità che la scuola stessa forniva in presenza. La didattica a distanza favorisce la creazione di un clima teso dovuto a una generale diffidenza in primo luogo da parte dei docenti, che spesso degenera in episodi umilianti come le “interrogazioni da bendati”. Allo stesso tempo anche lə studentə, hanno maturato una sfiducia nei confronti dei docenti e nelle istituzioni stesse da cui non si sentono ascoltati, come dimostrato dai molteplici dati che dovrebbero farci riflettere sui rischi a cui lə studentə sono espostə.
Uno studio sui pronto soccorso pediatrici di Torino, Cagliari e di altri 21 ospedali in dieci Paesi diversi durante la prima ondata di Covid, pubblicato su «European Child and Adolescent Psychiatry», mostra ciò che è successo in tutto il mondo: gli accessi per atti di autolesionismo in marzo e aprile 2020 aumentano dal 50% al 57%, con un’incidenza in crescita degli «intenti suicidi» e dell’isolamento come fattore scatenante.
Sono numerosi infatti i problemi sorti con la didattica a distanza, tra questi l’aumento di tensione e stress e la sempre maggiore difficoltà di concentrazione. 
A questo generale clima di diffidenza, si aggiunge il fatto che l’apprendimento didattico è fortemente ostacolato: in mancanza di adeguati supporti e con rapporti tra studentə e professorə sempre più labili, chi ha maggiori difficoltà viene lasciato ancor più indietro. 
Questi sono solo alcuni tra i tanti esempi che si potrebbero fare per raccontare i disagi della DaD, che per tali motivi non può essere considerata al pari della didattica in presenza.  
Come Robin Hood crediamo che non sia possibile, a fronte di tutti questi problemi, sacrificare il diritto allo studio ripiegando su soluzioni sbrigative che addossano alle scuole la colpa delle nuove ondate di contagi, come recentemente smentito dalla Camera dei Deputati.
Occorre invece mettere l’istruzione al primo posto e investire su una scuola che garantisca a tuttə lə studentə un piano di apprendimento sicuro che non lasci indietro nessuno!

Rete degli Studenti Medi – Robin Hood