Come (e perché) fermare il consumo del suolo – di Amilcare Caselli

Questa storia inizia nel gennaio del 2020, quando il parco di una villa venne completamente raso al suolo dalle ruspe. Più di cento alberi protetti, un ecosistema di 2500 metri quadri; nessuno immaginava si potesse distruggere un parco così, anche se privato, nei pressi del lungomare, che era lì da più di cinquant’anni.

Feci delle proteste, interviste e articoli, poi mi procurai di accedere agli atti: il parco era stato espiantato per far posto a tantissimi posti auto e garage sotterranei di una grande palazzina di 5 piani. Dichiaravano di aver censito solo 27 pini con la promessa di ripiantarne il doppio ma non c’era nessun progetto di ripiantumazione; nei progetti non c’era un metro quadro di terreno che non fosse cemento o asfalto e le incongruenze non finivano lì. Mandai gli esposti fino alla Procura della Repubblica, ma il cantiere prosegue spedito ancora oggi, il solo risultato che ebbi furono due diffide da parte del costruttore.

Ma non è questo ciò di cui voglio parlare, ci saranno altri scenari per farlo.

Interpellai chi potesse denunciare le mille storture del caso: consiglieri comunali, assessori, giornalisti, associazioni e chi in passato aveva condotto battaglie cittadine ambientaliste, pregandoli di far fronte comune, non tanto per il caso in sé, che pure è macroscopico, ma per denunciare un modus operandi che poteva ripetersi e che forse esisteva da tempo. 

Mi dissero che si stava costituendo un comitato per impedire l’attuazione di sei varianti al piano regolatore sulle uniche aree rimaste naturali in città. Ci riunimmo all’inizio dell’estate intorno a una mozione da presentare a Viale De Gasperi con la richiesta di fermare ogni ulteriore consumo di suolo promuovendo invece il riutilizzo delle zone dismesse. Così fui eletto a portavoce del Coordinamento “fermiamo il consumo di suolo, rigeneriamo la città”. 

Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata, e non intendo delle vicissitudini della mozione o di altre nostre iniziative, e nemmeno della triste realtà di San Benedetto, di cui ci sarebbe tanto da dire, delle varie giunte succedutesi fino ad oggi che hanno svenduto il territorio per fare cassa, col risultato di avere oggi migliaia di appartamenti sfitti, seconde case, e una previsione residenziale che non serve a chi è demograficamente fermo da quindici anni. C’è da cambiare quindi il vecchio paradigma delle campagne elettorali sponsorizzate dai soliti speculatori edilizi. E tutto questo in un quadro ancora più complesso di cui spero potrò tornare a scriverne meglio. 

Sapevo che non sarebbe stato facile dicevo perché so che quando ci sono tante teste, anche intorno a un solo oggetto che sembra chiaro, ci sono altrettanti punti di vista. 

Vado al punto, si tratta del Coordinamento stesso: c’è chi ci vede come troppo politicizzati e chi, al contrario, vorrebbe da noi una lotta più “politica”, cioè stretta sugli attori dei partiti e delle liste; attori adesso più che mai in scena visto che siamo in campagna elettorale. 

Potrei cavarmela dicendo che queste critiche, che sono anche interne al Coordinamento stesso, visto che sono diametralmente opposte, non facciano altro che dirci che siamo nella giusta direzione. 

Personalmente penso che un comitato come il nostro debba sicuramente agire puntualmente e rispondere a ogni dichiarazione, perché significa stare coi piedi per terra, sul pezzo, e tastare quotidianamente il polso a chi si candida per amministrare la città, certo, ma contemporaneamente, e in maniera non meno importante, credo che lo stesso comitato abbia il dovere di fare informazione, creare consenso, e sensibilizzare la cittadinanza anche con azioni a lungo raggio, che non si cristallizzino nella contingenza elettorale ma siano un work in progress; il lavoro da fare quindi è tanto, e lungo. 

Credo insomma che un comitato che operi tra queste due “anime di lavoro” possa offrire una risultante ultrapolitica, abbia cioè una valenza che superi, vada oltre e quindi comprenda la strategia dei partiti o delle liste comunali alle elezioni. 

Detto questo però, che non si confonda il lavoro, lo scopo di un comitato cittadino con la politica: sarebbe un errore gravissimo.

Ma purtroppo, riportando il particolare all’universale, questo credo sia il problema politico di fondo di questo nuovo millennio, in cui ci sono sempre più partiti “di scopo”, cioè con un oggetto particolare già nel nome, come a precisare una missione, che sia l’Europa, la Patria, o un’istanza ecologista… oppure si preferisce definirsi movimenti, quasi si avesse timore di dichiararsi “partito”; e quindi, di conseguenza, i partiti di scissione, di contrapposizione personalistica, di mera strategia. Nessuna accusa, beninteso, ma questa tendenza che ha segnato la fine del partito classico novecentesco, e che sicuramente è una delle cause della frammentazione della sinistra storica in tanti rivoli non ben identificati, ha la sua radice, molto semplicemente, nella recente morte dell’ideologia. 

Ideologia è diventata una parola che fa paura; ideologico detto di qualcuno è ormai un’offesa, e la causa della morte dell’ideologia sta nella ultratrentennale accettazione supina che il sistema economico abbia per sempre soppiantato il sistema politico, col beneplacito implicito o esplicito di tutti.

Che una giusta pretesa ecologista quindi abbia diritto di cittadinanza politica questo è sicuro, ma è uno sbaglio confonderla con l’ideologia: ideologia è una visione più ampia e complessa del mondo: è una visione filosofica del mondo, e le necessarie particolari istanze dovrebbero invece esserne i punti di discussione, le occasioni dialettiche. 

Ecco allora, un comitato cittadino fa sì “una certa” azione politica ma non potrà mai fare Politica, e non a caso uso la lettera grande, perché questa è materia filosofica che arriva fin nelle sezioni di partito, che purtroppo non esistono più, proprio perché non esiste più quella materia di cui sopra. Allora sta a noi essere coscienti di queste mancanze e cercare di ripartire almeno dalla dialettica inclusiva per ricreare dei veri soggetti politici. 

Un comitato cittadino quindi, oltre alle lotte sul territorio dovrebbe stimolare la dialettica, ma oltre il suo operato e l’operato di ognuno, più in alto, dovrebbe tornare ad esserci idealmente una visione del mondo, che oggi manca in tanti, troppi di noi, e che solo un ritorno alla vera Politica ci potrà dare.

Amilcare Caselli