La Destra, reificata nella giunta regionale marchigiana a guida Francesco Acquaroli, sta affrontando i primi mesi del suo governo con quello che sembra essere un progetto coerente: il ripristino dello status quo ante. Ante a che? Al 1950.
Più d’uno sono gli argomenti fondanti del discorso restaurativo in atto, che forniscono a questo governo regionale la sua caratura distintiva. Il primo si rintraccia nel dibattito innestatosi a partire dalle dichiarazioni antiabortiste dell’Assessora Giorgia Latini (alla quale, ci teniamo a precisarlo, nessuno ha intenzione di bruciare la casa). Dichiarazioni che hanno trovato compimento nell’ideologia di cui si fa massimo promotore il capogruppo FdI Carlo Ciccioli che, dai banchi della Regione fino alle principali testate giornalistiche nazionali, ha tuonato convintamente quanto la vera battaglia oggi non sia più quella per il diritto all’aborto, quanto quella alla denatalità e alla sostituzione etnica. Una convinzione quella di Ciccioli che lui stesso ha provveduto a spiegare avvalendosi del seguente ragionamento sillogistico: «c’è un intero plesso scolastico che non ha più studenti italiani. C’è stata una sostituzione. Oggi io sostengo che occorre approvare immediatamente una “194” in difesa della libertà delle donne di fare figli […] Anche gli italiani hanno diritto di vivere come popolo e di riprodursi, non dobbiamo essere ridotti come i “nativi americani”, tanto citati oggi dal Presidente Biden».
Oltre alla necessità di porgere le nostre scuse alle Prime Nazioni, questa presa di posizione ci consente di definire con chiarezza il primo pilastro su cui poggia il progetto politico della Destra marchigiana: la donna, intesa come categoria universale, deve essere madre! Madre italiana di figliə italianə perché i popoli stranieri non ci colonizzino annichilendo le nostre radici. Insomma, ben tornati tempi della donna matrona e massaia!
Ma la volontà reazionaria della Giunta Acquaroli passa, in concreto, attraverso il rifiuto della mozione proposta dall’Assessora Manuela Bora (PD) il 26 gennaio 2021, che si esprimeva in merito alla legge 194 e sull’accesso all’IVG farmacologica. Attraverso questo rifiuto si esprime anche il fermo “no” della Giunta a quanto stabilito dalle linee di indirizzo nazionali aggiornate lo scorso agosto dal Ministero della Salute che stabilivano le corrette modalità di somministrazione della RU486 e la sua messa a disposizione nei consultori e in regime di day hospital. Un attacco questo che non ha lasciato inermi le realtà dell’associazionismo femminista e transfemminista del territorio, che si sono prontamente mobilitate dando una risposta corale di ferma disapprovazione alla linea proposta e promossa dalla Regione. La legge 194 e l’IVG farmacologica necessitano di essere implementate e messe al passo con gli standard Europei ed internazionali, non di venire ostacolate in un momento di crisi sanitaria mondiale come quella determinata dalla pandemia. Ma ancora una volta non possiamo dirci stupitə. In fondo fu lo stesso Francesco Acquaroli durante la sua campagna elettorale a dichiarare che, rispetto alla questione 194, nel corso del suo – allora ancora ipotetico – mandato avrebbe adottato misure simili a quelle Umbre.
Alla presa di posizione pro-life della maggioranza ha fatto seguito la proposta di legge n.20 del febbraio 2021, il cui testo – diviso in 8 capi, 24 articoli e alcune decine di commi – rivela la sua linea ideologica già al Capo I, quello delle disposizioni generali, nel quale si afferma che la Regione: “riconosce, tutela e promuove i diritti della famiglia società naturale fondata sul matrimonio”. Insomma, quando la Regione Marche parla di riforme a favore della genitorialità e della famiglia fa riferimento ad un immaginario che, per lo più, prende ormai vita solo nelle pubblicità di biscotti, prodotti da forno e affini.
Di nuovo, il primo ad esprimersi favorevolmente in merito è Carlo Ciccioli che, vogliamo ricordarlo, vanta già al suo attivo un tentativo di riforma la legge 180 (nota ai più come legge Basaglia). Punti salienti della sua proposta di revisione del 2012 sono gli articoli 4 e 5 che introducono concetti quali: l’intervento sanitario obbligatorio, il trattamento necessario e il ricovero senza consenso.
Ma non divaghiamo. In merito alla famiglia naturale Ciccioli ha dichiarato: “Il padre deve dare le regole, la madre deve accudire” (viene da chiedersi cosa ne pensa Giorgia Meloni) per poi fare capo a quelli che, a suo dire sono principi già rintracciati dalla psicoanalisi, per cui: “senza una di queste figure i bambini possono zoppicare andando avanti nella vita”.
La replica a Ciccioli è arrivata, diplomatica ma decisa dall’Ordine degli Psicologi delle Marche che ha ribattuto: «In letteratura scientifica è ampiamente dimostrata l’importanza della qualità della relazione sia nella trasmissione delle regole che nello stile di accudimento. Rispetto ai fattori di rischio che intervengono nello sviluppo psicologico dell’individuo, occorre una visione bio-psico-sociale che consideri la sua complessità. Pertanto riteniamo vada posta massima attenzione nell’esprimere considerazioni che rischiano di discriminare, semplificando, condizioni familiari perfettamente funzionanti, pur non rientrando nella descrizione sopracitata».
In soldoni, gli stili genitoriali non sono legati al sesso biologico né all’orientamento sessuale di chi poi svolgerà la funzione educativa e del ruolo di cura necessari alla crescita sana ed armonica della prole. Il concetto logico ed ideologico che fa capo all’etichetta “famiglia naturale”, intensa come quel gruppo sociale il cui nucleo è composto da due individui che per determinazione biologica hanno il potenziale e l’armamentario riproduttivo utile a creare una nuova vita, porta con sé la pratica violenta di un’esclusione linguistica che va al di là del semplice e retorico bigottismo catto/fascista.
Dunque, la famiglia naturale sarebbe quella costituita da un uomo cis e una donna cis che, nel pieno delle loro facoltà, decidono di mettere al mondo dei figlə.
Quella “famiglia” che nel testo della proposta di legge è citata per ben 56 volte, non è la famiglia di tuttə ma la famiglia di alcunə. È la famiglia eterocisnormata e la proposta di legge, che ad essa fa riferimento come modello, non prende in considerazione le coppie omogenitoriali. Ma cosa ne è delle famiglie monoparentali, delle coppie conviventi senza prole e di tuttə coloro che si trovano a rappresentare una particolarità deviante dalla norma biologico-riproduttiva? Una concezione di legame familiare, questa, che è latrice di uno stigma sia per le soggettività facenti parti della comunità lgbtqia+, sia per tutti quei genitori eterocis che hanno figli omosessuali o trans. Famiglie “naturali”, appunto, che si trovano a temere gli effetti che questa categorizzazione avrà sui loro figlə, e su quella che è una situazione legislativa e sociale già ai limiti del discriminatorio che, a livello istituzionale, sta ottenendo dignità e riconoscimento solo grazie alla legge Cirinnà sulle unioni civili e alla Legge Zan che speriamo non venga ostacolata nel suo percorso di approvazione da questo governo di larghissime intese.
Questo il quadro generale, l’aria che si respira nelle Marche. Effluvi non proprio balsamici dai quali si evince una volontà omolesbobitransfobica chiara, che muove dal presupposto di una discriminazione alle famiglie omogenitoriali in quanto capaci di mettere in discussione l’assioma di cui sopra: “il padre dà le regole e la madre accudisce”. Le famiglie omogenitoriali, quelle composte dunque da due madri e due padri contribuiscono a scardinare il paradigma binario per cui i ruoli genitoriali sarebbero indissolubilmente legati ai ruoli di genere. Questo significa mettere in discussione il ruolo di sudditanza della donna nell’ambito familiare, così come quella de padre “padrone”. Il tutto in funzione della salvaguardia del sangue italico dalla minaccia straniera che, nel 2021 (ma anche prima) ed immersi come siamo in un mondo che vorrebbe essere senza frontiere, suona come un timore vagamente anacronistico.
Lo si diceva all’inizio: la coerenza, in mancanza di altro, è ammirevole.
Valeria Cardarelli