Ci vaccinate o no? – di Daniele Lanni

Ieri è stata la Festa della Repubblica, una giornata di grande importanza per il nostro Paese. La vittoria della nostra Democrazia contro la Monarchia. Una ricorrenza arricchita di un significato ulteriore, considerando che oggi in tutta Italia, come comunicato da una circolare del commissario Figliuolo, partono le prenotazioni per i vaccini per tutta la popolazione. La famosa ultima fase della campagna vaccinale che tutti stiamo aspettando con ansia.
Una bella giornata insomma, con una nota stonata: purtroppo nella Regione Marche così non è. Oggi ci siamo svegliati contenti, e abbiamo finalmente pensato che toccasse anche a noi prenotare finalmente il tanto atteso vaccino. Abbiamo atteso, giustamente e opportunamente, che le categorie più a rischio e le persone con più anni di noi si vaccinassero prima di noi, e ci mancherebbe. 
Ma oggi che toccava finalmente anche alla nostra generazione, gli under 40, il sito della Regione Marche continua a mantenere la schermata che ci informa che di noi se ne parlerà a luglio. Insomma, nulla di fatto. Non nelle Marche. Nel resto d’Italia, in ogni Regione con modalità diverse, il resto dei nostri coetanei di nord e sud stanno prenotando il proprio vaccino. Nella nostra regione chissà quando ci toccherà, non ci è dato sapere. 
E persino le persone under 40 con comorbidità hanno, con molti problemi tecnici, potuto iniziare a prenotarsi giusto qualche giorno fa, con settimane di ritardo rispetto al resto d’Italia. 
C’è da dire che non siamo stupiti, non sorprende più la scarsa considerazione che questa Regione ha delle fasce più giovani della popolazione, ma ingenuamente pensavamo che almeno sulla vaccinazione sarebbe andata diversamente. E invece…
Riusciranno a vaccinarci? Chi lo sa. Attendiamo ordinati e speranzosi. 

Daniele Lanni

Donna schiava, zitta e lava – di Valeria Cardarelli ed Elisa Gilormello

Maria Lina Vitturini è la nuova Presidentessa della Commissione Pari Opportunità.
Ha scelto, attraverso un post Instagram, di ringraziare tutte le persone che le hanno fatto gli auguri per la nuova carica fotografandosi non in un posto qualunque, ma nella cucina.
Perché? La didascalia del post recita: “La donna generalmente si occupa della casa e la famiglia, della cucina, dei lavori di cura in generale pensano ai figli e gli anziani, in più la maggior parte di loro lavora fuori casa, questo è il concetto di conciliazione casa lavoro”.
Aveva già suscitato reazioni di sdegno, la volontà di allargare il numero delle componenti della Commissione Pari Opportunità (CPO) facendo esplicito riferimento alla volontà di comporla principalmente di madri, donne con carichi famigliari o donne disabili.
CGIL, CISL e UIL Marche hanno contestato questa manovra “perché espressione di una cultura arcaica e patriarcale che vuole le donne relegate all’interno delle mura domestiche nel ruolo di madri amorevoli, angeli del focolare dedite alla cura di figli e familiari. Una proposta che nei fatti nega decenni di battaglie per la libertà, l’uguaglianza, i diritti e l’autonomia delle donne”.
La destra nella Regione Marche e in tutto il paese, sta portando avanti un piano coerente. Il contrasto all’IVG, la limitazione della RU486, i progetti che si vogliono finanziare per portare i privati pro-vita negli ospedali pubblici e nei consultori, sono tutte azioni che si connotano come passi propedeutici alla ricostruzione di un concetto di donna intesa come madre, angelo del focolare e succube dell’autorità patriarcale. Una donna incapace di prendere decisioni che riguardino la propria vita e il proprio corpo.
È vero, bisogna favorire e rendere più semplice per le madri essere madri e per i padri essere padri, ma no, – non ce ne voglia Tajani, che sottolinea come la donna “si realizza pienamente con la maternità”- la donna e la sua rilevanza sociale non si riducono unicamente al ruolo di genitrice.
Una famiglia è tale anche senza figlə.
Una donna è tale anche se di figlə non ne vuole, anche se non può averne e anche se non è etero o cisgender.
Una donna è molto più di etichette e imposizioni eteropatriarcali.
Vogliamo parlare di diritti e tutele reali alla riproduttività? Allora dobbiamo farlo parlando di tutti i corpi gestanti e di tutte le identità, perché queste per noi sono le Pari Opportunità.
La diversità è ricchezza” scrive Fumetti Brutti sull’illustrazione per la copertina de L’Espresso. Sì, vorremmo lo fosse anche per le Marche, la famosa “regione al plurale” che di plurale ormai non ha più niente, non con il potere depositato in mano alla peggiore delle destre!
Quelle destre che oltre a voler limitare i diritti di donne, persone non italiane e persone LGBTQIA+, fomentano un clima di odio inaccettabile, lo stesso odio che è causa delle shitstorm subite da Marte Manca – attivista di Non Una Di Meno Transterritoriale Marche – sotto agli articoli postati da la Repubblica e Cronache Maceratesi.
La sua colpa? Quella di portare all’attenzione le problematiche che si trovano ad affrontare gli uomini trans o le persone trans non binarie che hanno un utero e scelgono, in alcuni casi, di sospendere temporaneamente gli ormoni per avere figlə.
Mentre la destra pensa a riportare la donna etero cis al suo ruolo di fattrice, sono le stesse donne a non riconoscersi in questa immagine retrograda.
Per questo Miranda aderisce all’iniziativa di Liberə Tuttə che ha lanciato la campagna fotografica #ladonnasioccupa.
Per partecipare fatevi una foto con un cartello in mano che rilanci l’hashtag e che racconti di quanto la donna si occupa in realtà: di quello che deve, di quello che può, ma soprattutto di quello che vuole!

Valeria Cardarelli
Elisa Gilormello

Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, fuori dalla retorica – Dott. Fabio Lucidi

È nuovamente il 2 aprile e, come ogni anno, provo sentimenti contrastanti che tentano di dialogare tra loro. 
Da un lato, il piacere di leggere articoli, ascoltare servizi e testimonianze che raccontano di un mondo, quello del disturbo dello spettro autistico (ASD), di cui nel nostro paese si parla ancora troppo poco e talvolta in maniera imprecisa. 
Dall’altro, uno scoraggiamento viscerale dovuto al fatto che il 2 aprile duri soltanto 24 ore e che dal 3 aprile in poi, per altri 364 giorni, la lampadina blu che tanto vediamo pubblicizzata, resti spenta, anzi fulminata!
Una cara amica e collega qualche giorno fa mi ha telefonato perché alle prese, per la prima volta, con un bambino delle scuole elementari con diagnosi di spettro autistico. Naturalmente provata dall’esperienza mi ha rivolto una domanda lecita e ben precisa: «Come si fa ad entrare in relazione con loro? Ho un ragazzo che sembra non ascoltarmi proprio, eppure lui svolge anche una terapia, ma non mi pare che abbia imparato molto».
Ci sono due aspetti, relativamente a questa richiesta, che possono aiutarci a capire alcuni nostri pregiudizi sull’autismo e allo stesso tempo guidarci nella relazione.
Il primo è che ci sia un modo universale per rapportarsi alle persone con autismo. Non è così, la parola “spettro” indica proprio un ventaglio di condizioni eterogenee, una sorta di continuum rispetto al quale ogni persona con ASD si posiziona, e che merita un piano educativo e terapeutico individualizzato, sulla base del livello cognitivo, linguistico, della severità sintomatologica, della presenza di comorbidità associate e della fase di sviluppo che la persona sta attraversando.
Il secondo riguarda l’idea che è lui che non ascolta, non impara, che non c’è nella relazione, e che dalla terapia lui non abbia imparato molto.
Se negli anni abbiamo iniziato pian piano a familiarizzare con il concetto di spettro, cercare di abbattere questo secondo pregiudizio è più complesso. Per farlo occorre metterci in discussione, rivedere il nostro modo di stare in relazione, il nostro mondo interno e farci i conti. E a volte il conto è particolarmente salato, per cui meglio far pagare qualcun altro.
Il problema è che a forza di far pagare l’altro, prima o poi quest’altro, a cena con noi, non ci verrà più.
Lo so, pensare che sia unicamente la persona con ASD a dover cambiare ci assolve dalle nostre responsabilità. D’altronde non siamo noi che abbiamo la diagnosi, non siamo noi a non saper comunicare, non siamo noi a non apprendere dal rapporto con gli altri. Ma ne siamo davvero così sicuri?
Mi addentro ora in un terreno scivoloso: quante volte abbiamo odiato dei cambiamenti improvvisi? Quante volte abbiamo avuto il bisogno di stare da soli, di isolarci da tutto e tutti? Quante volte abbiamo provato a comunicare qualcosa, ma non ci hanno davvero compreso? Quante volte abbiamo avuto bisogno di riordinare l’ambiente che ci circonda, prima di metterci a lavorare? Quante volte siamo stati in difficoltà ad una festa, ad un pranzo o una cena con sconosciuti? Quante volte, con una persona che ci piace non sappiamo come comportarci?
Beh, tutte queste volte abbiamo assaporato l’autismo. In forma diluita sicuramente, ma la qualità del sentimento è la stessa. Ecco allora perché, forse, sintonizzarci con queste persone ci viene particolarmente difficile, perché difficile è contattare le nostre parti autistiche senza scappare.
Per rispondere dunque alla domanda della collega, entrare in relazione con le persone con ASD è possibile, sempre. Il punto è trovare cosa e come possiamo cambiare noi, cosiddetti “neurotipici”, per far si che il tempo trascorso insieme sia uno scambio buono per entrambi.
Questo 2 aprile, per favore, non illuminiamo le statue di blu, non serve a niente. Facciamo informazione, partecipiamo a corsi di formazione, andiamo in terapia.
Nel frattempo la regione Marche ha recentemente pubblicato il bando per l’erogazione di contributi in favore di famiglie con persone con disturbo dello spettro autistico.
Possono farne richiesta le famiglie che hanno sostenuto spese per gli operatori specializzati che effettuano interventi educativi e riabilitativi basati su metodi riconosciuti dall’ISS (Istituto Superiore della Sanità).
La documentazione va presentata entro il 10 maggio 2021 presso il proprio comune di residenza.
In allegato il link con tutte le informazioni necessarie.
http://www.grusol.it/informazioni/21-03-21.PDF

Dott. Fabio Lucidi – Psicologo
fabio.lucidi@hotmail.com

Nascite al minimo, decessi al massimo. Le Marche stanno scomparendo

Minimo storico nelle nascite e record di decessi nel 2020 con la pandemia che ha fortemente peggiorato una dinamica demografica già molto preoccupante tanto che al 31 dicembre la popolazione residente nelle Marche è inferiore di quasi 17 mila abitanti rispetto all’inizio dell’anno: come se fosse sparita una città grande come S. Elpidio a Mare o Grottammare. E’ quanto emerge dai dati dell’ISTAT elaborati dall’IRES CGIL Marche.
Ancora più pesante il bilancio demografico rispetto al 2010 con 40 mila abitanti in meno, mentre in 10 anni hanno lasciato la regione per l’estero 43 mila persone, equivalenti ai cittadini di una città come Senigallia o Civitanova Marche. Un numero impressionante soprattutto se si considera che tra di loro ci sono tantissimi giovani in cerca di migliori prospettive di lavoro e di vita.


Preoccupa soprattutto la denatalità che peggiora a ritmi insostenibili: nel 2020 nelle Marche sono nati solo 9.429 bambini: record minimo storico. Rispetto all’anno precedente sono nati 241 bambini in meno (-2,5%) mentre sono addirittura 4.656 i nati in meno rispetto a 10 anni fa (-33,1%). Il calo delle nascite è un fenomeno nazionale che peraltro ha assunto un carattere strutturale, ma il trend registrato nelle Marche è più grave e preoccupante.
Prosegue anche la tendenza alla diminuzione della fecondità: nel 2019 il numero medio di figli per donna nelle Marche è sceso a 1,19 (1,27 la media nazionale). Valori particolarmente preoccupanti se si considera che una popolazione, senza movimenti migratori, per rimanere costante nel tempo dovrebbe avere mediamente 2,2 figli per coppia.
Contestualmente, nel 2020, i decessi nelle Marche sono stati 20.123, ovvero 2.681 in più rispetto al 2019 (pari a +15,4%, di poco inferiore all’incremento medio nazionale di +17,6%) che evidenziano gli effetti drammatici prodotti dall’epidemia Covid-19, pagati soprattutto dalle persone più anziane e fragili. Inoltre, per la prima volta i decessi sono più del doppio delle nascite.


Secondo Daniela Barbaresi, Segretaria Generale della CGIL Marche, «è urgente  affrontare il tema della denatalità con misure strutturali a sostegno della maternità e paternità, a partire da un’adeguata rete di servizi per l’infanzia, che nelle Marche, oltre ad essere complessivamente troppo onerosa per le famiglie, è assolutamente insufficiente, visto che solo a un bambino su quattro viene garantito un posto all’asilo nido».


«Occorre poi garantire adeguate prospettive di lavoro e reddito; lavoro stabile con la giusta retribuzione per consentire soprattutto ai più giovani di formare una famiglia e decidere di avere dei figli. Va ricordato che da luglio sarà operativo l’Assegno unico e universale per i figli, introdotto con la Legge di Bilancio 2021, per riordinare le misure a sostegno della genitorialità e che sostituirà assegno al nucleo familiare, detrazioni per figli a carico, assegno natalità, bonus bebè, bonus mamma e altre misure. Per conoscerne nel dettaglio le modalità di erogazione bisognerà aspettare i prossimi decreti attuativi».
«Sono altrettanto necessarie e urgenti misure a sostegno di una popolazione sempre più anziana e fragile, a partire da interventi per la non autosufficienza. Urgente poi completare rapidamente le vaccinazioni delle persone più anziane e fragili».

Lottare nella Regione più alt-right d’Italia. Intervista a Daniela Barbaresi (Cgil)

a cura di Mario Di Vito

Daniela Barbaresi è segretaria generale della Cgil delle Marche dal 2017. Avvocato, nel 1997 è entrata all’Ufficio Studi della camera del lavoro di Pesaro, poi una trafila tra Fiom, segreteria provinciale, Flc (scuola, università e ricerca), delega al mercato del lavoro, alle politiche giovani e alle donne in segreteria regionale. Come voce critica (e di lotta) della sinistra marchigiana non si è mai tirata indietro, nemmeno quando era il Pd ad amministrare la regione. Tanto più non si tira indietro adesso che le Marche sono passate alla destra e, agli occhi dell’opinione pubblica italiana, sono diventate una sorta di laboratorio dell’alt-right tricolore.

Barbaresi, come giudica la gestione della pandemia da parte dell’amministrazione di Francesco Acquaroli?

«Sicuramente non è soddisfacente. Stavo guardando i dati proprio adesso, e purtroppo li stavo guardando sui giornali online, visto che le informazioni della Regione sono, come dire, poco utilizzabili. La cosa che più preoccupa è la situazione all’interno degli ospedali. Siamo i peggiori a livello nazionale: i pazienti covid nell’area medica sono al 64% dei posti letto occupati, quando la soglia critica è al 40%. Sul fronte delle terapie intensive siamo al 60% e peggio di noi c’è solo la provincia di Trento, mentre il 30% è già considerato soglia critica. Insomma, siamo ben oltre l’emergenza. C’è poi un altro problema che emerge dai numeri: ci sono 135 pazienti parcheggiati al pronto soccorso perché mancano i posti letto negli altri reparti».

E la risposta della Regione è mancata.

«Esatto. Solo poche settimane fa, poco prima di diventare zona rossa, Acquaroli si preoccupava di rassicurare i ristoratori dicendo loro che presto avrebbero potuto riaprire di sera. Ecco, questo è il livello di responsabilità che ha il nostro presidente. La verità è che è stato perso tantissimo tempo. Si vantava del fatto che fossimo rimasti zona gialla, come se fosse un merito, mentre in realtà tutti sapevano che si stavano diffondendo focolai ovunque. Non ha voluto fare delle scelte, certamente difficili ma dovute da parte di una persona nella sua posizione. La cosa allucinante, poi, è che ogni volta si trovava costretto a dover prendere una decisione, si preoccupava sempre di scaricare la responsabilità su altri: il governo, i sindaci… Era sempre colpa di qualcun altro».

E voi, come Cgil, come vi siete comportati rispetto a tutto questo?

«Come sindacato non abbiamo mai fatto sconti alla passata amministrazione di Luca Ceriscioli, anzi, lo abbiamo attaccato ferocemente ad esempio sul Covid Hospital di Bertolaso a Civitanova. Tuttavia gli abbiamo sempre riconosciuto una certa fermezza nel gestire la situazione, anche andando allo scontro diretto con l’allora governo Conte sulla chiusura delle scuole, alla fine del febbraio del 2020. Adesso invece, la sensazione è che la gestione della pandemia sia allo sbando. Mi colpisce una cosa…».

Cosa?

«Noi non incontriamo l’assessore alla Sanità (Filippo Saltamartini della Lega, nda) da novembre. Per dire il livello delle relazioni quando ci sarebbe bisogno del coinvolgimento di tutti… Comunque, in quell’occasione, Saltamartini ci disse molto candidamente che il tracciamento era già fuori controllo. Non erano in grado di garantirlo, in pratica. E così, consapevoli di questo fatto piuttosto pesante, si sono lanciati in un’altra operazione deleteria: lo screening di massa, che ha assorbito risorse umane ed economiche che invece sarebbero servite per tracciare. I nostri medici, iscritti alla Funzione Pubblica, ce lo dicevano che non serviva a niente. Qui nelle Marche arriviamo sempre in ritardo rispetto alle altre regione e ne rifacciamo gli stessi errori».

Sul fronte del personale medico come vanno le cose?

«C’è mancanza di personale, assolutamente, soprattutto di infermieri. I concorsi che sono stati fatti nel pubblico hanno sottratto personale alle strutture residenziali, per lo più gestite da privati. Questo non fa ben sperare per il futuro, perché potrebbero esserci ancora problemi molto grandi su quel fronte. Se non si garantisce l’assistenza in quelle strutture, per farla breve, molti finiranno all’ospedale. C’è poi un’altra cosa che davvero lascia perplessi: la vaccinazione sui posti di lavoro».

Ce lo può spiegare?

«A un certo punto la Regione ci ha chiamato per proporci questa soluzione, cioè di vaccinare sui posti di lavoro. Detta così, non possiamo che essere favorevoli. Però manca la certezza che i soggetti prioritari siano già stati vaccinati e questa non c’è. È chiaro che manca una regia nazionale, ma noi siamo andati oltre: troviamo i commercialisti e gli avvocati tra i soggetti da vaccinare. Siamo al “venghino signori venghino”. Un conto è chiamare tutte le forze economiche e sociali a soccorso del pubblico, un conto è aprire, sostanzialmente, al mercato dei vaccini».

Un giorno, bene o male, riusciremo a venire fuori da questa situazione. Quale mondo del lavoro ci aspetta a quel punto?

«In parte lo stiamo già vedendo. Siamo molto preoccupati rispetto al confronto con il governo sulla riforma degli ammortizzatori sociali. Però, ecco, il prezzo lo stiamo già pagando in maniera molto pesante. Se guardiamo gli ultimi dati dell’Istat, scopriamo che abbiamo perso già migliaia di occupati, per lo più donne. E c’è un dato che è pericolosissimo: aumentano gli scoraggiati, cioè quelli che il lavoro manco lo cercano. Negli ultimi mesi del 2020 si è fatto grande ricorso agli ammortizzatori sociali, circa 130.000.000 di ore, che equivalgono al mancato lavoro di 60.000 persone a tempo pieno. Questo ci dà la misura di quanto potrebbe succedere quando non ci sarà più il blocco dei licenziamenti. Sin qui hanno perso il lavoro per lo più i giovani e le donne, ovvero le fasce più marginali. Di qui a breve ci sarà il rischio di perdere il lavoro stabile. Di tutti questi temi, però, non siamo mai riusciti a parlare con la Regione».

Giusto per riassumere, quanti incontri avete avuto sin qui con l’amministrazione?

«Dunque, abbiamo avuto due incontri con il presidente Acquaroli e con l’assessore Guido Castelli il 23 dicembre e l’8 gennaio. C’erano alcuni punti sul tavolo: il lavoro, lo sviluppo, la ricostruzione post sisma, la sanità, le politiche sociali. Da parte loro, va detto, c’è stata grande disponibilità a discutere, ma poi non è successo niente. L’assessore al lavoro (Stefano Aguzzi di Forza Italia, nda) lo abbiamo incontrato a fine gennaio. Abbiamo capito che la tendenza è quella di dare contributi alle aziende sperando nel loro buon cuore, senza una strategia vera. Non parlo del Recovery Plan perché non c’è niente da dire: ci hanno inviato un centinaio di schede progettuali che avevano già consegnato al governo prima di Natale. Semplicemente hanno aperto i cassetti e hanno preso quello che ci hanno trovato dentro. Si tratta per lo più di interventi infrastrutturali, niente lavoro e niente ipotesi di ricadute sul piano dell’occupazione. Non sappiamo quale sia la strategia regionale sull’emergenza, sul rilancio, sul futuro… Nel Def regionale, approvato insieme al bilancio, sulle politiche di sviluppo c’erano appena 2 pagine su 150…».

Oltre a tutto questo, che già sarebbe abbastanza inquietante, da quando si è insediata la destra, le Marche sembrano essere diventata una regione piuttosto ostile ai diritti delle donne.

«Be’ sì, ormai finiamo tutti i giorni ai disonori della cronaca nazionale per i deliri di certo personaggi, che però non sono i matti del paese, ma figure di primo piano della politica regionale: parliamo di assessori, di capigruppo… Il problema, comunque, non è solo nelle dichiarazioni ma anche nei fatti concreti. Ad esempio, hanno deciso di non applicare le linee guida del ministero della Sanità sulla Ru486. Peraltro, sapevamo che lo avrebbero fatto, Acquaroli lo aveva ampiamente annunciato durante la campagna elettorale. Poi ci sarebbe da parlare della legge sulla Famiglia: lì il problema non è tanto il richiamo alla famiglia naturale, che è un concetto espresso anche nella Costituzione. Il problema è che dentro quella legge hanno messo anche la tutela della vita sin dal momento del concepimento. In pratica, stanno negando in toto la Legge 194. E ancora: la legge sui consultori. L’apertura ai privati è prevista dalla legge, e va bene, ma la Regione lo declina come un regalo, non come una possibilità. Non siamo pregiudizialmente contrari ai servizi gestiti in maniera convenzionata, ma prima di aprire ai privati e utilizzare risorse pubbliche per sovvenzionarli, bisognerebbe mettere mano ai consultori pubblici. Qui la situazione è delirante, non c’è personale nemmeno per le attività minime. Senza contare il fatto che c’è un numero di obiettori altissimo e che quindi non si riesce nemmeno ad ottenere l’interruzione di gravidanza. Ci sarebbe piaciuto, insomma, vedere un potenziamento del pubblico prima dell’apertura totale ai privati. Lo dicevamo a Ceriscioli e lo ribadiamo anche adesso».

Avete mai avuto modo di discuterne con la Regione?

«Abbiamo chiesto più volte all’assessora Latini (Lega, nda) di riceverci, ma lei non ha mai voluto incontrarci».

Mario Di Vito