La nostra parte – di Iacopo Zappasodi

Ho letto con piacere l’intervento di Gianluca Pompei su MirandaMag. Il piacere è dettato dal fatto che il suo contributo si inserisce nella cornice che da qualche tempo a questa parte stiamo provando a proporre per San Benedetto: Miranda nasce per far circolare aria fresca all’interno del centrosinistra, ben vengano quindi gli interventi e i contributi di chi fa parte di questo grande campo politico.
«Dalla parte delle persone» s’intitola l’intervento di Gianluca e sicuramente non gli sarà sfuggito che il motto è preso di peso dalla campagna elettorale del 2020 del Pd di Nicola Zingaretti, quando il centrosinistra che secondo tutti gli osservatori avrebbe dovuto affondare alle regionali ha invece resistito all’assalto della destra, confermandosi al governo di regioni importanti come la Puglia, la Campania e la Toscana.
Fu la conferma che, dove il centrosinistra riesce a fare il centrosinistra, i risultati poi si vedono e le cittadine e i cittadini se ne accorgono.
Nelle Marche, lo sappiamo, le cose sono andate diversamente: il nostro impegno in quella sede fu ingente ed è grazie ai voti che abbiamo preso sostenendo la candidatura indipendente di Valeria Cardarelli che il Pd è riuscito a rimanere primo partito nella provincia di Ascoli: è aritmetica, i mille voti di differenza sulla seconda lista, quelli di Fratelli d’Italia, sono stati quelli mobilitati dalle ragazze e dai ragazzi che poi avrebbero costruito Miranda.
Non è bastato, evidentemente, e dobbiamo chiederci il perché. Soprattutto in vista delle comunali di San Benedetto che si svolgeranno in autunno.
Veniamo, e Gianluca l’ha sottolineato bene, da cinque anni di sfascio firmato dal centrodestra. Una città aperta e democratica che si sta trasformando in cupa, depressa e ripiegata su se stessa: abbiamo il compito di fermare questo declino e ripartire.
Come si fa?
La prima cosa che mi viene in mente è dire: «unendo le forze». Più facile a dirsi che a farsi: i personalismi, i «divismi», le fughe in avanti purtroppo stanno diventando un’abitudine per tante compagne e tanti compagni della vecchia guardia, ma più in generale per tutto il personale politico di questa città, di cui abbiamo stima ma che sinceramente talvolta stentiamo a capire.
Penso però a quello che il Laboratorio di Miranda s’è dato come obiettivo sin dalla prima assemblea del 10 ottobre: ricostruire il modo di far politica aprendo una discussione sì larga ed aperta a tutti, basata però su argomenti e tematiche di interesse cittadino. Occorre rendersi conto che le sambenedettesi e i sambenedettesi meritano di più rispetto a quello che è stato offerto loro negli ultimi anni. E non parlo solo della destra – sono quello che sono e non potranno mai essere meglio di così – ma anche del centrosinistra e delle forze che lo compongono, che lo hanno composto, o che vorrebbero comporlo.
La nostra parte funziona solo se è aperta e se discute di temi. Aperta alla circolazione delle idee, ai nuovi volti, alle nuove pratiche. Se si chiude in mille divisioni, se ciascuno costruisce il suo fortino con l’unica prospettiva di escludere le altre e gli altri, semplicemente, la nostra parte non esiste. Se non impariamo a tradurre in attività politica quelli che sono i problemi di una società sempre più liquida e non capiamo come affrontarli in maniera strutturale, la nostra parte non esiste.
Una cosa in particolare mi sento di appuntare a Gianluca, che, come è noto, è impegnato nella costruzione di una coalizione «civica». Non è sufficiente, a mio avviso, organizzare un gruppo di persone che, per evitare le contraddizioni, rinunci ad avere una collocazione politica. Per essere più chiari, non basta mettere insieme le preferenze – raccogliendo anche centristi e scontenti di destra – per trasmettere una idea di città convincente. Il punto non è superare la destra e la sinistra, anche perché questo ricorda da vicino quanto un noto Movimento predicava fino a non troppo tempo fa, salvo poi allearsi prima con la destra e poi con la sinistra.
E allora Gianluca lo voglio sfidare, dalle colonne di questo Miranda Mag, ad abbandonare l’isolamento e ricostruire tutti insieme il centro sinistra: dalle compagne e i compagni di “Cambia San Benedetto” alle amiche e agli amici moderati. Perché la nostra generazione non può e non deve costruire steccati: su molte cose la pensiamo diversamente ma sono convito che Gianluca come tantə altrə, ognuno con le proprie idee, sia una risorsa per rinnovare il centrosinistra. Personalmente sto cercando di farlo dentro al Partito Democratico, e sono convinto che Gianluca lo possa fare nel partito che più lo rappresenta, ma senza contribuire a creare ulteriori steccati, senza la necessità che ogni piccolo gruppo debba creare nuove divisioni. Non è questione di persone, è una questione di prospettive comuni. Per questo credo che Gianluca potrà essere altrettanto libero anche ritornando a costruire un grande centrosinistra.
Tuttə insieme.

Iacopo Zappasodi

Dalla parte delle persone – di Gianluca Pompei

Leggo sempre con piacere gli articoli che sta pubblicando in questi giorni Miranda Mag, come seguo con interesse il dibattito che in modi e sedi diverse sta contribuendo a riaccendere.
E allora mi sono chiesto se ci fosse un modo, una prospettiva, che potesse aiutare ad allargare quel dibattito. Se fosse possibile portare all’attenzione angolazioni diverse, che potessero in qualche maniera aiutare a portare quel dibattito un passo più avanti.
Il minimo comune denominatore mi sembra chiaro, ridare a San Benedetto un futuro, uno degno di questo nome, uno che non sia da un lato un presente che continua ad invecchiare come quello che stiamo vivendo in questi 5 anni, ma neanche un “futuro da torcicollo” uno di quei futuri fatti tutto di un guardarsi nostalgicamente indietro quasi cedendo al tragico adagio del “si stava meglio quando si stava peggio”.
E allora se è vero che per ridare una prospettiva a questa nostra città dobbiamo fare lo sforzo di unirla, perché nelle divisioni e nella frammentazione prosperano i personalismi e perché nelle divisioni vincono i più forti e i più deboli e soli si ritrovano ancora più deboli e ancora più soli, allora la vera domanda da farci è intorno a cosa vogliamo unire questa città.
Se i valori e gli ideali come libertà e democrazia sono certamente il fertilizzante dei semi migliori è certo che restano il fertilizzante, l’humus, ma non possono sostituire i semi, le idee, gli orizzonti.
Per questo in una città ripiegata su se stessa, stremata dalla pandemia e dalle sue conseguenze arrivate come calci su un corpo sociale già a terra per gli anni di crisi e per quelle speranze di futuro che hanno lasciato San Benedetto da troppo tempo, come le sue energie migliori, un futuro che abbia la dignità del nome che porta non può che ripartire dalla ricostruzione di un senso di comunità.
Se da un lato la pandemia ha mostrato tutta la fragilità della nostra società, tutti i limiti dei nostri sistemi di sostegno e di welfare, dall’altro ha anche rivelato al grande pubblico un tessuto trasversale fatto di solidarietà e generosità di persone che sono state e sono pronte ad attivarsi per aiutare il proprio vicino che non ce la fa.
Un tessuto fatto di associazioni, gruppi, ma soprattutto persone che non hanno sentito il bisogno di fermarsi alle etichette, alle storie e alle cronache personali, per sapere che era il momento di dare una mano alle altre persone.
E forse è da qui che potremmo ripartire, dalle persone.
Da una città che oltre il rumore delle classi dirigenti di ogni colore, sempre più esigue, ha dimostrato nella sofferenza di saper ritrovare la voglia di combattere per i suoi cittadini senza sentire il bisogno di sapere che bandiera sventolano o per quali generali hanno parteggiato o combattuto in passato.
Perché se è vero che questa pandemia è come una guerra allora dobbiamo pensare che quando la guerra è finita una comunità vera prova a ripartire insieme e solo i pazzi e gli invasati passano a falciare i sopravvissuti che furono avversari o a spargere il sale nei campi da cedere a quelli che furono il nemico.
Sono certo che questa città, quella fatta dalle persone che non si lasciano andare a questi istinti, al “se non è per me non è per nessuno”, è la maggioranza dei sambenedettesi, ed è la nostra più vera ed autentica città.
C’è molta più San Benedetto in quelle persone che nelle opere pubbliche, nei particolarismi, in tutto il resto.
Ci aspettano anni che temo passeremo molto più a cercare di tirare “fuori dal fango” i nostri concittadini travolti da questa nuova realtà che ci ha sconvolto la vita, che a costruire cattedrali o a comporre inni per far ricordare l’ego dei governanti di turno.
E allora oggi il vero coraggio è come sempre quello di prendere parte, ma non di stare dalla parte di questo o di quello, a destra o a sinistra, per difendere il poco che abbiamo e che siamo terrorizzati di perdere, no.
Il coraggio del nostro tempo è quello di stare dalla parte delle persone.
Perché le persone sono ciascuno di noi e l’unica San Benedetto possibile sarà quella che avrà il coraggio di dire che una città, che sia città veramente, se è costretta a scegliere, sceglie di ripartire iniziando dalle piccole cose, perché dalle piccole cose possiamo non solo ripartire ma possiamo anche farlo tutti insieme.

Gianluca Pompei